Amplificatori in Classe D - 2 parte
Una descrizione del funzionamento e delle caratteristiche degli amplificatori audio di potenza in commutazione
Nello scorso numero abbiamo iniziato a descrivere il funzionamento di un amplificatore in classe D, che ha la caratteristica di dissipare sui transistori finali una potenza virtualmente nulla, con notevoli benefici dal punto di vista del consumo energetico ma anche, soprattutto, per quanto riguarda peso e ingombro.
Il segnale in uscita dallo stadio finale contiene però una notevole quantità di energia spuria in alta frequenza, al di fuori della banda audio. Per vari motivi (tra cui la protezione degli altoparlanti e la limitazione della distorsione), sarà bene filtrare adeguatamente tali componenti in alta frequenza prima di inviare il segnale di potenza agli altoparlanti.
Per agevolare il filtraggio, occorre in pratica che la frequenza di commutazione sia molto grande rispetto alla massima frequenza utile contenuta nel segnale da riprodurre, ossia rispetto al limite superiore della banda audio. Questo, tra l’altro, permette di semplificare l’analisi dell’amplificatore retroazionato (figura 5), cioè, in pratica, di renderne prevedibile il comportamento.
figura 5: Amplificatore in classe D con retroazione.
L’ipotesi di quasi stazionarietà
La tensione in uscita dallo stadio finale, V2 nella figura 5, è una tensione impulsiva, per cui il suo spettro è estremamente esteso in frequenza. A valle di V2 c’è però un filtro, che dovrebbe essere in grado di eliminare la maggior parte delle armoniche in alta frequenza.
Si può semplificare notevolmente l’analisi considerando solo le componenti dello spettro di V2 che attraverseranno il filtro, cioè quelle in bassa frequenza. Questa, in pratica, deriva dall’approssimazione che è già stata utilizzata nel numero scorso per ricavare l’espressione della tensione in uscita vu, che si può chiamare “ipotesi di quasi-stazionarietà”.
L’approssimazione quasi stazionaria può essere utile per l’analisi della stabilità o della risposta in frequenza ma, naturalmente, non è utilizzabile se si vogliono ricavare informazioni sulla distorsione in uscita, proprio perché si trascurano a priori gran parte delle componenti distorsive. Al più può aiutare nella determinazione della distorsione in bassa frequenza.
Per poter parlare di “modulazione PWM quasi-stazionaria” occorre fare tre ipotesi di base:
- Un buon filtraggio: il filtro deve ridurre significativamente le armoniche spurie nell’intorno della frequenza di commutazione e dei suoi multipli;
- Variazione “lenta” di vx(t): la massima frequenza significativa nello spettro del segnale di ingresso vx deve essere molto minore della frequenza di commutazione fc;
- Variazione lenta di VS(t): anche la massima frequenza significativa nello spettro della tensione di alimentazione VS deve essere molto minore della frequenza di commutazione.
Il controllo “in avanti”
Nello schema di figura 5, se l’amplificatore nel ramo di retroazione avesse un guadagno elevato, una piccola variazione della tensione d’uscita (in particolare, ad esempio, una debole distorsione residua ad alta frequenza in uscita dal filtro) potrebbe produrre una forte variazione di VX. Questo sarebbe in contrasto con l’ipotesi di quasi stazionarietà (in particolare con la seconda), per cui si rischia di invalidare l’intera analisi e si potrebbero notare [leggi: sicuramente si noteranno] effetti inaspettati. Occorre quindi fare attenzione a non esagerare con la retroazione per non invalidare le ipotesi di partenza.
Per quanto riguarda la stabilità nei confronti dell’alimentazione, il modo in cui un disturbo su VS si propaga in uscita è abbastanza prevedibile, per cui si può cercare di “prevenire”. In particolare, dalle espressioni utilizzate nel numero scorso per ricavare la tensione in uscita vu si ottiene:
Utilizzando un partitore sull’alimentazione VS per controllare l’ampiezza Vp dell’onda triangolare si può realizzare una regolazione efficace (figura 6).
figura 6: Controllo "in avanti".
Infatti se, ad esempio, VS diminuisse, questo farebbe diminuire in proporzione Vp e, di conseguenza, aumenterebbe il duty-cycle.
Analiticamente:
In questo modo, quindi, vu virtualmente non dipende da VS ma solo da vx e dal rapporto di partitore αp.
La retroazione, come si è già osservato, migliora anche altre caratteristiche, quindi può essere il caso di utilizzare, oltre al controllo in avanti, anche una certa quantità di feedback. Con il controllo in avanti si parte però da una situazione più favorevole, per cui si può più facilmente evitare un guadagno ad anello aperto troppo elevato.
La frequenza di commutazione
Per rendere agevole il filtraggio, è opportuno che la frequenza di commutazione sia più elevata possibile.
Per migliorare la situazione da questo punto di vista, un’alternativa allo schema di figura 1 del numero scorso è quella presentata nella figura 7.
figura 7: Amplificatore in commutazione con controllo PWM differenziale.
Dallo schema di figura 7 si può ricavare:
In cui:
Nella figura 8 sono riportate alcune forme d’onda utili per descrivere il funzionamento dello schema di figura 7.
figura 8: Forme d'onda per l'amplificatore di figura 7.
I segnali vx+ e vx‑ si devono confrontare con l’onda triangolare vtr. Se vtr è costituita da un segnale che varia tra 0 e Vp, mentre vx ∈ [‑Vp/2; Vp/2] con valor medio nullo, per avere un’escursione simmetrica occorre scegliere VB = Vp/2.
Quindi:
Per cui:
Per fissare le idee, conviene osservare le forme d’onda conseguenti ad un valore costante di vx (figura 9).
figura 9: Forme d'onda in DC per l'ampli switching a ponte intero.
A riposo (cioè con vx(t) = 0) i segnali vx+ e vx‑ sono identici, così come sono identici v1 e v3 (con duty-cycle al 50%), per cui la tensione tra i terminali di ingresso del filtro è identicamente nulla. Quando vx(t) > 0 il duty-cycle di v1 aumenta mentre quello di v3 diminuisce in maniera simmetrica. Viceversa, quando vx(t) < 0 il duty-cycle di v1 diventa minore del 50% mentre quello di v3 aumenta della stessa quantità. Gli impulsi in ingresso al filtro d’uscita sono ottenuti per differenza.
Dalla simmetria delle forme d’onda della figura 9 si può dedurre che il periodo di vu è la metà del periodo di v1 o di quello di v2, cioè la frequenza della prima armonica spuria si sposta a 2fc (mentre gli interruttori commutano a frequenza fc).
Un altro vantaggio non trascurabile della configurazione a ponte intero è che il segnale PWM in uscita è simmetrico rispetto a massa anche in caso di singola alimentazione e ciò elimina la necessità di disaccoppiare la componente continua. Il disaccoppiamento della componente continua richiederebbe infatti un componente (un condensatore in serie al carico o un trasformatore) certamente critico; un eventuale condensatore di disaccoppiamento, infatti, vedrebbe una resistenza equivalente ai suoi capi piuttosto bassa, pari alla somma della resistenza di carico con la resistenza d’uscita dell’amplificatore. In assenza di segnale in ingresso, inoltre, l’onda PWM in uscita è identicamente nulla. Almeno in teoria: in pratica un lieve sfasamento tra le due sezioni del ponte produrrebbe una serie di impulsi ampi quanto lo sfasamento stesso, alternativamente positivi e negativi, che comunque sarebbero auspicabilmente abbastanza stretti da non produrre correnti di ripple significative su un carico induttivo. Nel caso di uscita single-ended, nelle stesse condizioni, il segnale d’uscita sarebbe un’onda quadra con un duty-cycle del 50%, sempre a valor medio nullo ma responsabile di un ripple di corrente eventualmente significativo su un carico non abbastanza induttivo.
Riferimenti
[1] Bruno Putzeys: Digital Audio’s Final Frontier -
http://www.spectrum.ieee.org/WEBONLY/publicfeature/mar03/dig.html
[2] appunti dalle lezioni di Elettronica Industriale del prof. Fabio Filicori - Bologna 2001
[3] Ronan Van Der Zee: High Efficiency Audio Power Amplifiers; design and practical use - ISBN 90-36512875