Amplificatori in Classe D - 1 parte

Una descrizione del funzionamento e delle caratteristiche degli amplificatori audio di potenza in commutazione

di Michele Viola

A grandissime linee, la potenza sul carico di un amplificatore di potenza è controllata tramite uno o più elementi attivi (transistor) posti in serie al carico stesso, elementi attivi che realizzano una caduta di tensione variabile con il segnale di ingresso.
Essendo tali elementi attivi percorsi dalla corrente d’uscita, sono spesso costretti a dissipare una potenza rilevante. Questo si traduce, a parte il consumo in termini di energia elettrica, in componenti e dissipatori di dimensioni significative e di peso altrettanto significativo. Ciò è vero soprattutto per i trasformatori di alimentazione e per i dissipatori di calore sui finali di potenza, che determinano una buona parte del peso di un amplificatore di potenza in classe AB.
La configurazione in classe D può attenuare molto questo problema.
Lo stadio di potenza di un amplificatore in classe D è costituito in linea di principio da due transistori che funzionano come interruttori, connettendo il carico alternativamente al positivo o al negativo dell’alimentazione (figura 1).

figura 1
figura 1: Lo stadio finale di potenza in classe D

Quando uno degli “interruttori” finali è in conduzione viene attraversato da tutta la corrente d’uscita, che può essere anche elevata, ma la tensione ai suoi capi è virtualmente nulla; quando invece lo stesso interruttore è aperto si trova ai suoi capi l’intera tensione di alimentazione ma la corrente che lo percorre è virtualmente nulla. Quindi, almeno teoricamente, nessuno dei due transistori finali dissipa alcuna potenza. Naturalmente i due interruttori non possono essere contemporaneamente in conduzione.

 

Un amplificatore siffatto può riprodurre solamente segnali a due valori (alto o basso); per poter utilizzare tale dispositivo al fine di amplificare un segnale analogico, occorre trovare il modo di riprodurre segnali variabili con continuità tramite appropriate forme d’onda di tipo on-off. Per questo si può utilizzare una tecnica detta modulazione a larghezza d’impulso (PWM – Pulse Width Modulation).
Tramite il modulatore PWM, l’ampiezza di un segnale analogico in ingresso è utilizzata per controllare il duty cycle del segnale (binario) di controllo per gli interruttori.
 

Il modulatore PWM

La modulazione PWM è ottenuta comparando il segnale d’ingresso (modulante) con un’onda triangolare (figura 2).

02-modulatorePWM
figura 2: Il modulatore PWM.

L’uscita del comparatore è un segnale binario (a due livelli) il cui valore medio è proporzionale al segnale in ingresso.

figura 3
figura 3: Controllo PWM con VX costante.

Osservando la figura 3 è immediato ricavare – dalla similitudine tra i triangoli tratteggiati in rosso e in verde – che, con Vx costante, il duty cycle ρ è direttamente proporzionale a Vx:
formula01
in cui T è il periodo dell’onda triangolare. Nella figura 2 ho esplicitato l’ampiezza picco-picco Vp dell’onda triangolare come ingresso del corrispondente generatore perché, come mostrerò più avanti, può essere comodo poter controllare il duty-cycle anche tramite questo parametro.
Se il segnale d’ingresso Vx è variabile nel tempo, anche il duty-cycle del segnale uscente dal modulatore sarà quindi variabile in proporzione (figura 4):
formula02

04-sinusoidePWM
figura 4: Controllo PWM con VX sinusoidale.

Il segnale Vu uscente dal modulatore PWM può essere direttamente utilizzato per pilotare i finali di potenza.
Naturalmente, per evitare malfunzionamenti, il segnale di controllo Vx non deve superare in ampiezza i limiti (picco-picco) dell’onda triangolare.

La tensione sul carico

A valle degli interruttori finali (figura 1) l’andamento della tensione sarà dunque una riproduzione “amplificata” del segnale PWM uscente dal modulatore. Il segnale immediatamente a monte del filtro passa-bassi in uscita nello schema di figura 1 è un segnale a due livelli variabile tra +VS e ‑VS, che sono le tensioni di alimentazione positiva e negativa.
Naturalmente, soprattutto per i dispositivi di potenza elevata, è bene che il segnale uscente dallo stadio finale non raggiunga il carico così com’è, perché l’elevato contenuto di energia in alta frequenza introdotto dalla modulazione potrebbe danneggiare l’altoparlante. Per questo, tra l’amplificatore e il carico è solitamente interposto un filtro passa-basso, così da attenuare opportunamente le componenti spettrali al di fuori della banda audio.

Supponendo che la frequenza massima nello spettro del segnale d’ingresso vx(t) sia molto minore della frequenza di commutazione 1/T (1/T è la frequenza dell’onda triangolare), si può pensare che il filtro estragga il valor medio (variabile nel tempo “lentamente” rispetto a T: questa è un’ipotesi di quasi-stazionarietà) dal segnale PWM di potenza.
A valle del filtro d’uscita risulterà quindi:
formula03
e, ponendo:
formula04 nuova
si ottiene:
formula05

 

Principali cause di distorsione

Purtroppo, l’architettura finora descritta è fortemente portata alla distorsione, principalmente a causa delle imperfezioni nella regolazione della tensione di alimentazione ed agli inevitabili errori nella determinazione degli istanti di commutazione.
La tensione d’uscita, infatti, è direttamente proporzionale alla tensione di alimentazione VS, per cui ogni instabilità nell’alimentazione si ripercuote direttamente sull’uscita; in altre parole, le variazioni della tensione di alimentazione dovute, ad esempio, alla variabilità della corrente fornita al carico vengono tradotte immediatamente in distorsioni del segnale in uscita. Anche le instabilità della sezione di alimentazione per se stessa, come il ripple residuo, si manifestano in uscita sotto forma di rumori e ronzii.
Gli effetti di un disturbo sull’alimentazione si possono attenuare con uno schema in retroazione come quello di figura 5 che, tra l’altro, può contribuire a compensare altre non-idealità del sistema (resistenza d’uscita non nulla, non idealità della rampa...)

05-ampli retroazionato
figura 5: Schema in retroazione.

Lo schema in retroazione rende però necessaria un’attenta analisi della stabilità del circuito, cosa che può risultare tutt’altro che semplice, dato che la catena contiene elementi fortemente non lineari come il modulatore PWM e la rete di commutazione. Studiare la linearità e la banda passante in termini di funzione di trasferimento, infatti, significa, più o meno implicitamente, considerare piccole perturbazioni e lavorare su un modello linearizzato. Per linearizzare una funzione (anche per piccolissime variazioni) occorre che tale funzione sia differenziabile. Questo sicuramente non è il caso del modulatore PWM, che contiene dei comparatori e degli interruttori che funzionano on/off, almeno per quanto riguarda il modello ideale. 

Lo spettro di frequenze

Se VS e VX sono entrambe costanti, la tensione V2 a monte del filtro d’uscita è un segnale periodico con fondamentale fc = 1/T (figura 3), per cui lo spettro è formato da una serie di righe equispaziate, a frequenze multiple intere di fc.
Se VX varia nel tempo viene modulata la larghezza degli impulsi (figura 4), che nel dominio delle frequenze corrisponde ad un “ispessimento” delle righe intorno ai multipli di fc, oltre alla comparsa di componenti in bassa frequenza. Lo spettro di frequenza in banda audio del segnale PWM dovrebbe coincidere con lo spettro di frequenza del segnale di ingresso VX.
Se, ad esempio, Vx fosse sinusoidale di frequenza fa, comparirebbe nello spettro una riga a frequenza fa e alcune righe intorno ad fc ed ai suoi multipli.
La variazione nel tempo di VS corrisponde invece per V2 ad una modulazione di tipo AM, che nel dominio delle frequenze si manifesta in maniera molto simile al caso di VX variabile, cioè con la comparsa di bande laterali intorno alle righe a frequenze multiple di fc oltre a componenti in bassa frequenza.
In pratica, le componenti in bassa frequenza si possono facilmente estrarre dal segnale PWM con un semplice filtraggio, se fc è sufficientemente elevata, mentre le componenti (distorsive) dovute alle variazioni di VS vanno più possibile limitate all’origine.

Nel prossimo numero proseguiremo analizzando le ipotesi e le tecniche utilizzate per rendere più agevole il filtraggio in uscita e, in definitiva, per limitare la distorsione.

Clicca qui per accedere alla galleria fotografica
(10 Foto)