Un po’ di storia – seconda parte
Qui ci occuperemo degli ultimi 40 anni, che hanno portato notevoli evoluzioni tecnologiche e concettuali.
Nel numero precedente abbiamo iniziato a discorrere sugli albori dell’amplificazione per il live sound. Partendo dai primi del secolo scorso, siamo arrivati a quella che è ormai storia moderna. Qui ci occuperemo degli ultimi 40 anni, che hanno portato notevoli evoluzioni tecnologiche e concettuali.
All’inizio degli anni ‘70, gli impianti audio erano collocati a fianco del palco ma, generalmente, ad un’altezza limitata ed in prossimità del pubblico. Questo comportava livelli d’esposizione elevatissimi per gli spettatori nelle prime file ed una scarsa pressione sonora via via che la distanza aumentava. Inoltre quello che si sentiva nei primi 30 metri era sostanzialmente diverso da ciò che si poteva percepire a distanze maggiori e che in genere diveniva, a seconda degli errori di installazione e progettazione, un suono sempre più stridente. In alcuni casi i diffusori erano posti in alto ma la diversa efficienza e direttività dei sistemi a sospensione rispetto alle trombe ponevano un problema, oltre che di coerenza del suono, anche di equalizzazione.
In questi anni si completa la rivoluzione che porta all’attuale concezione del sistema palco/pubblico: il palco è una scatola a se stante, mentre fuori c’è un sistema dedicato. Segue un momento di particolare amore per le trombe: ce ne sono per tutti i gusti e di tutti i tipi.
Grazie anche allo sviluppo dato dalla concezione dell’amplificazione a transistor, che metteva a disposizione potenze elevate, nonché alla rivoluzione di efficienza offerta dalla tipologia di diffusori bass reflex, la disponibilità di potenza sonora non era più un limite e la produzione di tutta la gamma acustica, dal basso all’alto, poteva essere compresa nello stesso contenitore. Si producono “casse” full range, magari un po’ sbilanciate ma, all’inizio, si sa...
Passo passo le casse divengono prodotti migliori, con una risposta sufficientemente lineare, ma qui iniziano le sorprese, e pesano!
figura 3: Un tipico cluster di diffusori tradizionali.
figura 4: La risposta in frequenza del cluster di figura 3, misurata per diversi angoli in orizzontale rispetto all’asse.
L’immagine riprodotta in figura 3 rappresenta una tipica configurazione di impianto da concerto con diffusori full-range e risposta lineare, circa a metà degli anni ‘80. I sistemi di rilevazione per frequenza (analizzatori di spettro) erano cose ancora inaudite e spesso si utilizzavano oscilloscopi per avere in qualche modo una rappresentazione del segnale diviso per frequenze. Ciononostante le ricerche sul comportamento dei diffusori erano piuttosto attive. Il grafico riprodotto nella figura 4 è tratto da un articolo intitolato “Measurement and Estimation of Large Loudespeaker Array Performance”, di Mark Gander e John Eargle, comparso sul Journal of Audio Engineering Society, Vol. 38, n. 4, Aprile 1990: due tra i maggiori esperti statunitensi mostrano i risultati dei rilevamenti effettuati all’aperto, ovvero in assenza di riflessioni dalle pareti, affiancando più diffusori identici pilotati con lo stesso segnale.
Il grafico mostra le tre curve di risposta, rilevate in asse e per due diversi angoli sull’orizzontale, dell’emissione di nove diffusori trapezoidali affiancati ed angolati come in figura 3.
Osservando la tipologia del diffusore si può notare la diversa superficie frontale occupata dalle trombe per le frequenze medio-alte rispetto a quella disponibile per i condotti risonanti reflex.
Date la loro caratteristica e le lunghezze d’onda delle frequenze riprodotte, l’interazione tra i woofer è meno accentuata sotto i 125 Hz mentre questi iniziano ad avere comportamenti distruttivi/costruttivi per le frequenze superiori fino a raggiungere un vero distacco prestazionale tra le diverse direttività misurate a 0°, a 37,5° ed a 50°, nelle gamme in cui la lunghezza d’onda inizia ad essere appunto comparabile o inferiore alla distanza tra i trasduttori. Nello studio citato si mostra come si formano vari lobi di cancellazione e di accoppiamento, variabili con l’angolo di irraggiamento. Il suono ha propria vita. Di fatto, l’ascolto tende a variare alquanto con la posizione, all’interno dell’area occupata dal pubblico. Proprio per compensare queste differenze, all’epoca poco controllate, laddove si dovevano sonorizzare aree grandi si provvedeva alla moltiplicazione smodata dei diffusori. La qualità è sospetta, ma si va affermando un’immagine ed un’idea di palco.
L’immagine nella figura 5 riguarda i Metallica nel 1986: quello in mezzo è il palco, ed ai lati si possono notare due piazze verticali di altoparlanti.
figura 5: I Metallica nel 1986
Gli effetti dell’interazione consistono nella creazione di infiniti lobi di radiazione spuri, rivolti in tutte le direzioni comprese immancabilmente le più inopportune – abitazioni, pareti e coperture – andando quindi a comporre un livello di suono riverberato che andava a sua volta a complicare decisamente la qualità del suono riprodotto. Il fenomeno del campo riverberato, nei casi di ambienti confinati, era decisamente avvertibile anche alle alte frequenze, ovvero quelle che veicolano informazione intelligibile.
Già dai primi anni ‘80 equalizzatori e filtri di cross-over divengono attivi ed elettronici e, in seguito, l’applicazione dei primi circuiti integrati operazionali ed il timido ingresso di sistemi seppur analogici, vuoi per la qualità delle componenti vuoi per le stesse rivoluzionarie innovazioni nel settore dell’elettronica, rendono il controllo e l’amplificazione terra di frontiera e scoperta.
A partire dagli inizi degli anni ‘80 i maggiori service fornivano impianti da concerto, per gli stadi, di potenze elevate (arrivando, alla fine del decennio, abitualmente a disporre di impianti da oltre 300 kW) in grado di erogare livelli di pressione sonora fino a 130 dB di picco, corrispondenti orientativamente a 120 dB A a 10 m dal fronte.
Erano però impianti che, nonostante le potenze in gioco, non soddisfacevano l’esigenza di copertura di un’area come uno stadio o di aree aperte con profondità superiore a 80 m, dopo i quali il segnale decadeva a valori anche 18 dB inferiori rispetto al fronte. Per risolvere questo particolare problema è stata adottata una configurazione di impianti in cui parte di diffusori e relativi amplificatori sono collocati su palchetti avanzati (tipicamente alle spalle del mixer, a centro campo), e denominati “delay”. L’emissione di queste sezioni distaccate di impianto audio è sincronizzata all’impianto principale mediante linee di ritardo, che permettono di farle percepire agli ascoltatori con quel piccolo ritardo tale da riportarne in fase l’emissione con l’originale fronte emissivo, ed anche in modo di non falsare la percezione della direzione di provenienza del suono. Infatti gli ascoltatori percepiscono ancora il suono come proveniente dal palco.
Le sezioni di delay sono necessariamente di ridotte dimensioni, per non occludere la vista del palco.
L’utilizzo consolidato dei delay e lo stesso suono in presa diretta, imponeva di qualificare i sistemi di ritardo, fase, compressione, ovvero l’elaborazione ed il trattamento complessivo del segnale.
In generale si può concludere che gli impianti del periodo si caratterizzavano prevalentemente con assemblaggi pericolanti di casse misurabili in superficie utile (alla stregua degli appartamenti) capaci di erogare una pressione acustica elevatissima, anche oltre 115 dB(A) nel campo vicino, scendendo in poco meno di 60 m di oltre 12 dB(A).
Dalla fine degli anni ‘80 in poi si iniziano a trovare applicazioni della tecnologia digitale al suono. Le prime applicazioni, squisitamente legate all’immagine ed all’Hi‑Fi, non approdarono nel campo della musica dal vivo. Ma i processori digitali iniziano a campionare sopra i 48 kHz ed a fornire prestazioni utilizzabili per la musica dal vivo, sostanzialmente in termini di tempi di risposta e qualità.
Nel 1992 Christian Heil e Marcel Urban presentano alla Convention Europea dell’Audio Engineering Society, a Vienna, il loro studio intitolato “Sound Fields Radiated by Multiple Sound Sources Arrays” (Preprint n. 3269, 24/03/92). Heil ed Urban elaborano una teoria, anticipata da Olson nel 1954, che chiarisce i meccanismi di interazione tra “array” di sorgenti di varia configurazione, progettando e realizzando un componente per le frequenze alte che porterà in breve tempo alla prima sperimentazione dei sistemi a fronte d’onda cilindrico, i cosiddetti “line array” o “line sources”.
Lo sviluppo è conseguente all’applicazione del principio di radiotrasmissione direttiva, ormai particolarmente sviluppato in quegli anni. Storica per l’Italia fu l’installazione nel 1997 allo Stadio Meazza di Milano.
Il resto è storia recente, di cui Sound&Lite ha già ampiamente discusso, e senz’altro continuerà a farlo.