Il miracolo delle catene audio - 2
Una delle personalizzazioni che il fonico ama inserire sul trattamento del segnale di ogni singolo strumento, è quello della catena audio...
Una delle personalizzazioni che il fonico ama inserire sul trattamento del segnale di ogni singolo strumento, è quello della catena audio. Normalmente quando si tratta di strumenti ci si limita ad “insertare” (cioè mettere in “insert” ndr.) un processore di dinamica, che sia gate, limiter o compressore, in alcuni casi si possono anche insertare entrambi, creando in questo caso una catena. Ma come è possibile insertare due macchine su un canale, visto che la connessione fisica (insert) è solo una?
È abbastanza semplice: si esce dal SEND dell’insert nel banco, si entra nell’IN della prima delle macchine da utilizzare e la si collega in cascata sulla seconda. Da questa seconda macchina si esce dall’OUT per ritornare nel banco, nella sezione insert in RETURN, chiudendo così la catena ed abilitando il passaggio dell’audio nel canale del mixer.
Nella figura 1 è mostrato un esempio schematico di come uscire dall’insert di un canale di mixer, casualmente raffigurato in viola, e creare una catena per la gestione della dinamica entrando prima in un gate, che ci permette di decidere quanto segnale far passare, e poi andando a comprimere lo stesso segnale per riportarlo alla dinamica voluta. Questo tipo di catena è tipicamente molto utilizzata per gestire i segnali provenienti da strumenti come cassa e rullante. Facciamo anche un po’ di nomi: per quanto mi riguarda ho utilizzato spesso per comporre questa catena il Bss DPR 504 come gate e il Bss DPR 402 come compressore, quindi una catena composta da due macchine della stessa casa che utilizzano la stessa logica e con parametri elettrici e sonori perfettamente compatibili. Mi è anche capitato di utilizzare un gate Drawmer con compressore dbx 160. Naturalmente esistono anche macchine come il dbx 166XL che, per ovviare al problema, hanno internamente uno stadio di gate ed uno di compressione selezionabili e, volendo, singolarmente escludibili. Normalmente non le utilizzo, ma possono essere un’ottima soluzione per chi vuole risparmiare qualcosa in termini di spazio e costi. Non sto a dilungarmi sui settaggi di queste macchine, argomento che potrebbe anche essere approfondito su un successivo articolo, dico solo che in termini di pulizia, dinamica e controllo, utilizzando queste catene si ha un notevole beneficio, risolvendo gran parte dei problemi dovuti ai rientri nei microfoni adiacenti.
Quando si decide di utilizzare questo tipo di catene audio, si deve porre una certa attenzione ai cablaggi, visto che non tutte le macchine potrebbero avere la stessa polarità (polo caldo e polo freddo) e soprattutto perché i vari passaggi tra XLR e Jack stereo (come alcune connessioni di insert sul banco) possono dar luogo a problemi di percorso elettrico non corretto (vedi la errata assegnazione del send/return sul tip/ring del jack a causa di una saldatura sbagliata). Nel caso infatti si presentasse qualche errore nel cablaggio, potrebbe verificarsi che il segnale entri nella catena audio, ma non ritorni nel canale. Molto utile, in questo caso, la presenza dell’interruttore di inserimento dell’insert sul canale del mixer, che permette in tempo reale di escludere la catena e avere il segnale pulito in uscita. Alcuni banchi “viola”, hanno addirittura un pulsante per testare il corretto percorso audio nella catena di insert, senza utilizzare alcun segnale esterno (microfono o tono).
Ma veniamo alla parte sugosa del discorso, ossia quella dedicata al trattamento delle voci. Normalmente questo è il segnale/canale maggiormente sottoposto ad inserzioni varie e all’utilizzo delle macchine più prestigiose. Inizialmente l’esigenza era quella di avere uno stadio di compressione che potesse essere il più trasparente possibile ed allo stesso tempo permettesse un ottimo controllo della voce. Con il passare del tempo, ci si è accorti che anche il tipo di equalizzatore del mixer poteva essere migliorato, utilizzando moduli esterni che generalmente erano ricavati da filtri adottati su banchi da studio o live di altissimo livello e che garantivano interventi chirurgici sulle singole porzioni vocali. A questo punto anche lo stadio di ingresso o preamplificatore diventava obsoleto e si ricorreva spesso a qualche modulo esterno che garantisse migliori risultati in questa importantissima prima fase dell’elaborazione sonora. Come si può vedere non era raro utilizzare una catena audio formata da tre macchine esterne al banco per gestire un singolo strumento o voce. È stato forse in quel momento che alcune case costruttrici, prima fra tutte Focusrite, hanno pensato di mettere in commercio oggetti che contenessero, in un unico chassis, tutto quello che i fonici andavano ricercando, cioè una macchina che fosse di gran lunga superiore a livello prestazionale dello stadio di ingresso ed equalizzazione di un mixer di gamma alta, e che comprendesse anche uno stadio di compressione, ancora meglio se valvolare. Era così nato quello che ora tutti chiamiamo, rubandolo al mondo del virtuale, channel-strip.
Il semplice schema esemplificato in figura 2 mostra le sezioni in cui si divide un channel strip, ovvero un preamplificatore microfonico con alimentazione a 48 V per microfoni a condensatore, uno stadio di compressione e uno stadio di equalizzazione (quasi sempre parametrico). In alcune macchine sono anche presenti convertitori con uscite digitali.
Prima di avventurarci in una panoramica commerciale di questi oggetti, cerchiamo di capirne l’utilizzo e quando non possiamo veramente farne a meno. Ritornando al discorso iniziale, quello delle catene audio, vorrei farvi qualche esempio personale di come, nel tempo, ho trattato il segnale, per esempio di una voce principale, prima di intervenire con una sola macchina.
Lo spazio che ho a disposizione è però limitato, quindi proseguiremo questo discorso nel prossimo numero.