Ligabue Mondovisione Tour - Stadi 2014

Dopo il tour nelle piccole città, Luciano torna negli stadi con ben 16 concerti. Una produzione importante e la stessa carica di sempre.

di Giancarlo Messina

La video-recensione del concerto:

liga video link

 


 

Se un artista come Luciano Ligabue continua ad avere questa forza sul pubblico, con la capacità di riempire 16 volte altrettanti stadi, vuole dire che sicuramente il suo messaggio ed il suo percorso musicale sono riusciti nel tempo a crescere, aggiornarsi, a restare vivi, coinvolgendo anche la nuove generazioni. Ma, ne siamo certi, il merito non è solo artistico, è anche organizzativo e gestionale: in questi anni il pubblico di Luciano è stato coccolato e viziato, sia tramite i mezzi di comunicazione sia tramite i concerti, dove non si sono mai risparmiate risorse in cambio di qualità. Ormai l’unica ciambella riuscita forse col buco un po’ difettoso, quel primo Campovolo, è un vago ricordo, appannato dalle grandi feste musicali che negli anni sono stati i concerti dell’artista emiliano. Se insomma qualche nostro big, un tempo in grado di riempire gli stadi, oggi sembra segnare il passo, forse l’esperienza di Luciano può essere quanto mai indicativa di buone pratiche artistiche e manageriali.
Non a caso, dopo il tour atipico nelle piccole città, comunque voluto per andare incontro ad un pubblico che difficilmente riesce a spostarsi nelle grandi venue, Luciano è tornato negli stadi con una gran bella produzione che noi siamo andati a vedere a San Siro il 6 giugno.
Squadra vincente non si cambia: così professionisti ed aziende coinvolte sono quelle di sempre, ma con una novità importante riguardante il nostro mondo tecnico.
Il manager di Luciano, Claudio Maioli, ha infatti deciso per l’acquisto del PA, un RCF TTL 55‑A, per giunta esposto in bella mostra grazie ad una verniciatura rossa che certo non passava inosservata. Un fatto importante di cui abbiamo chiesto lumi allo stesso Maioli, un personaggio che ormai conosciamo da tantissimi anni e che ringraziamo sempre per la disponibilità e la simpatia nei nostri confronti.
Il palco, disposto sul lato lungo e con una copertura molto alta, è caratterizzato da un enorme schermo LED convesso, tante luci, una passerella centrale alla cui estremità è posto una sorta di totem pieno di DWE e poi, naturalmente, i cluster rossi del PA RCF.
Un palco grande, ma non gigantesco, che offre decisamente una notevole visibilità a tutto lo stadio. Buona parte dello spettacolo si gioca ovviamente sui contributi video, molto curati ed alcuni decisamente molto belli, soprattutto quelli che riproducono scenografie virtuali, come la giostra, con un effetto così sorprendente che ci sarebbe piaciuto fossero stati utilizzati maggiormente.
Poi tanta luce, indispensabile a valorizzare il palco, l’artista e la band, il tutto con il mood perfetto a cui ci ha abituati Jò Campana.
L’audio, che noi abbiamo ascoltato dalla postazione del fonico, non ha di certo scontentato il pubblico, con una voce ben presente ed una sezione bassa decisamente all’altezza, robusta e definita: il numero industriale dei doppi 21” faceva sicuramente il suo effetto. Certo tutti conoscono i problemi dello stadio milanese legati all’acustica, dal rimbombo di fondo ai limiti legati al volume (immancabile la presenza dell’Architetto Carbone in veste di censore del dB!), ma anche in questa occasione il fonico Alberto Butturini ed il PA RCF, con i suoi sound designer, sono riusciti a vincere la sfida.
Insomma una produzione di grande impatto e di livello internazionale, tutta però all’insegna di un orgoglioso “made in Italy”.

Ma ecco dal racconto degli addetti ai lavori, tutti i dettagli della produzione e dell’aspetto tecnico.

Claudio Maioli – Manager e produttore per Riserva Rossa

Claudio, come mai questo salto repentino dal tour nelle piccole città agli stadi?
Per un artista che ha voglia di suonare gli stadi sono pochi, e Luciano ha molta voglia di suonare dal vivo. Inoltre abbiamo un nuovo bassista, quindi abbiamo anche usato questa logica americana di andare a suonare nelle città minori dove non si andrebbe mai anche per rodare la nuova band. Inoltre c’è quel contatto col pubblico che a Luciano piace molto, per di più un pubblico molto giovane che magari per qualche motivo è tagliato dai concerti nelle lontane grandi città. Il tour negli stadi era già in programma, così adesso abbiamo fatto due sold-out a Roma ed adesso due sold-out a Milano, poi andremo a Catania con due date, e dopo lo stop per i mondiali faremo quattro date a luglio e poi altre quattro a settembre, sempre negli stadi con questa produzione.

Come nasce l’idea di questo palco?
È un palco che offre molta visibilità; io lo definisco un palco dalla forte personalità: grosso ma non gigantesco, con quelle casse rosse, questo schermo straordinario a cilindro che ricorda le forme tonde di Mondovisione. Dalle ricerche fatte non ci risulta che un palco così sia mai stato realizzato.
Per il resto abbiamo giocato sulla semplicità: passerella centrale e una palla da 70 kW di luce in mezzo!

Squadra vincente non si cambia!
Abbiamo un team collaudatissimo, parliamo del top del professionismo italiano, quindi al momento non vedo nessun motivo per apportare cambiamenti.

Andiamo al sodo: puoi parlarci dell’acquisto del PA RCF?
Gli aspetti sono tanti. Tutto è partito dalla conoscenza di RCF, azienda di Reggio Emilia, come noi. Ho sentito suonare l’impianto ed ho conosciuto l’innovazione e la grande organizzazione aziendale che c’è dietro. Così ho capito che c’era qualità sotto, ed ho deciso di provarlo. La prima volta a Londra, poi all’Arena e devo dire che ha sempre dato grandi risultati, soprattutto sulla voce.
Inoltre noi abbiamo un tour diviso in tre tronconi, da maggio a settembre, ed i noleggi in questi casi sono molto dispendiosi. Insomma… alla fine sono andato da Fabrizio Grazia di RCF e gli ho detto: “Se mi pitturi le casse le compro!”. E siamo qui. Insomma Luciano ha le spalle abbastanza larghe per poter acquistare un proprio PA, anche se qui si parla di quantità mostruose, un po’ come facevano i Pooh nei tempi passati.

Cosa succederà dell’impianto finito il tour?
A tour finito sarà stivato in un nostro magazzino, poi abbiamo come referente Willy Gubellini di Nuovo Service, con cui collaboriamo da sempre, che lo gestirà nel caso qualche altro artista lo voglia usare. Questo non significa che faremo concorrenza ai service, non è un impianto preso per fare service ma per il piacere di possederlo e di essere autonomi.

E l’idea della verniciatura da dove nasce?
È un aspetto importante: da almeno cinque anni pensavo alle casse ed al loro ruolo così importante intorno ad un palco. Ci sono due possibilità: o nasconderle o evidenziarle. Così una notte ho pensato alle scarpe da calcio, le quali toccano il pallone e sono, in effetti, lo strumento di gioco degli atleti, come le casse sono lo strumento con cui l’artista fa sentire la propria musica. E allora perché nasconderle e non evidenziarle con un colore giocoso?
Ma non è un’idea facile da realizzare, perché le aziende non sono così disponibili, invece con RCF l’abbiamo fatto, e non so se siamo dei pazzi o dei precursori. La verità è che Luciano dà moltissima importanza al suono quindi, comunque sia, esigiamo grande qualità, e ci pare di averla trovata.

Recentemente abbiamo intervistato i vostri responsabili per il web: le attività in internet per voi sono un investimento o riescono ad auto finanziarsi?
No, non riescono ad autofinanziarsi, anche perché non accettiamo pubblicità. Ma noi ci pensiamo come una factory in cui ci sono una serie di entrate e una serie di uscite; alcuni settori sono in perdita, anche se potrebbero pagare, visti i tre milioni di utenti, ma noi puntiamo al meglio per Luciano e a non voler far sentire i fan sfruttati per fare soldi. Io non riesco a vedere i ragazzi del pubblico come gente che viene a un concerto, ma come un pubblico fidelizzato che ha bisogno di essere curato e coccolato attraverso tutti i media. Ed abbiamo sempre cercato di dargli più di quello che si aspetta, dai media ai concerti, come questo spettacolo con questo palco. Insomma Internet è una voce in perdita, ma per fortuna ne abbiamo altre in attivo.

Il tuo intervento durante gli show di Luciano è ormai proverbiale: cosa farai questa sera?
Dal ‘97 è ormai una sorta di tradizione, ma in effetti questa volta non era previsto niente, perché non c’è Bar Mario in scaletta; ma due giorni prima dello show Luciano mi ha chiesto di fare qualcosa, così ci siamo inventati che, con scarpe e papillon rosso, vado sul palco a portargli un caffé e ad asciugargli il sudore, proprio come la prima volta nel ’97; e lui dice solo: “Certe tradizioni vanno mantenute!”.

Un pensiero per concludere?
Abbiamo creato un palco italiano, di un artista italiano e con maestranze italiane di cui andiamo molto fieri: se arrivasse in Italia una produzione straniera con un palco così forse si griderebbe al miracolo!

Ferdinando Salzano, produttore per F&P Group
Orazio Caratozzolo, produttore esecutivo per F&P Group

“La collaborazione con Luciano va avanti dal 2007: Riserva Rossa ha un ruolo centrale nella produzione tecnica, anche se Maioli poi rimane sempre il manager dell’artista, mentre noi curiamo più l’organizzazione, la promozione e tutte le attività di supporto, e questo crea una ciambella perfetta. È una coproduzione su tutto, condividiamo infatti tutte le scelte, però ognuno mette a frutto le proprie specificità. La gestione amministrativa è in capo a noi, ma facciamo insieme un’attenta analisi di budget, e questo funziona bene, perché non abbiamo mai avuto momenti tragici, riusciamo sempre a controllare qualità ed economie.
“In promozione pianifichiamo su tutti i mezzi, da quelli tradizionali, come radio stampa ed affissioni, al web. Fino a tre anni fa, il 60% dell’investimento era sui mezzi tradizionali, ed il 40% sui canali innovativi; adesso la proporzione si è ribaltata. Da tre anni abbiamo in ufficio tre persone dedicate interamente alla promozione sul web e, infatti, ogni anno aumenta l’investimento sul web a discapito dei media tradizionali; usiamo molto anche le campagne teaser, i rumors, per far girare informazioni che attirano l’attenzione, come gli ospiti amici che vanno a trovare gli artisti sul palco, un valore aggiunto irripetibile per il concerto: basti pensare ad Antonacci insieme ad Eros e Laura Pausini.
“Orazio in questa divisione di ruoli si occupa dell’organizzazione generale, cioè di accogliere e gestire una produzione ‘esterna’, per modo di dire, e soprattutto di curare i rapporti con gli stadi, le città, con i fornitori locali e la burocrazia immane… insomma parecchie cosine!
“Cosa penso della possibilità di attingere ai finanziamenti europei per la cultura? È un settore che non mi interessa. Al momento il meccanismo per l’ottenimento di questi fondi infatti non li rende disponibili per la musica pop rock. Quindi evito di imbarcarmi in avventure in cui dovrei camuffare la mia reale attività, che a mio parere è già altamente culturale, come un concerto di Luciano, e farcirla con altre attività pseudo‑culturali o ritenute tali, e questa cosa mi fa arrabbiare davvero! Io non devo nascondere nulla: per me quella di Luciano è cultura, io voglio poter partecipare per quello che faccio, non voglio nascondermi dietro uno che legge poesie.
“Siccome, grazie a Dio, ce lo possiamo permettere e dobbiamo rendere conto solo all’artista, non ci muoviamo per niente e non vogliamo nessun fondo.
“Perché invece non creano un fondo per giovani cantautori? Quella sarebbe una cosa utile. La musica giovane sta morendo e di fondi avrebbe davvero bisogno”.

Franco Comanducci Direttore di produzione e responsabile per La Diligenza

“Siamo partiti da una serie di idee – racconta Franco – schizzi e progetti, per arrivare a questo palco  semicircolare poi sviluppato dai ‘Correggio Boys’, cioè Luciano Ligabue, Claudio Maioli, Franco Comanducci, Jò Campana e Roberto Costantino. Era quello che rispecchiava più da vicino il titolo del tour Mondovisione, il mondo in quanto rotondo, e la visione tramite lo schermo a LED con una curvatura a 180°;  nello stesso tempo proiettavamo l’artista verso il pubblico, con uno schermo ‘Ciclorama’ ed una passerella che finisce in mezzo al pubblico; quello che volevamo era infatti un palco con una grande visibilità e senza barriere tra l’artista e il pubblico”.

Vista da dietro la struttura del palco sembra abbastanza semplice e facile da montare…
Sembra facile, mentre ti assicuro non è per niente semplice. Per poter creare il palco senza impedimenti laterali, abbiamo dovuto montare una copertura a sbalzo, grazie a una serie di travi portanti con uno sbalzo da 13 metri, ed ad una zavorra dietro il palco di 20 tonnellate. Questa struttura è stata possibile grazie all’esperienza che abbiamo fatto nel 2011 a Campovolo, dove avevamo montato una struttura con uno sbalzo di 20  metri; ma in quella occasione era una struttura fissa, mentre in questa soluzione si è dovuto tenere conto che è un palco da tour, che deve essere montato e smontato in tempi brevi.
A questa struttura sono state appese tutte le tecnologie, sia luci che audio, con un peso di una quindicina di tonnellate. L’appoggio delle travi portanti si è creato grazie ad una struttura Layher, alla quale è stato fissato anche lo schermo LED. Altra problematica che abbiamo dovuto superare è stato il fissaggio della struttura dello schermo circolare ad una struttura Layher che nasce a moduli quadrati, creando una serie di accessori ad hoc. Un grande merito di questa realizzazione va allo schermo LED, che ha la possibilità di essere montato in modo convesso, dandoci l’opportunità di creare uno schermo a 180°. I moduli Acronn UW9 danno la possibilità di essere uniti tra loro con un angolo variabile da +7° a ‑20° e questo ci ha dato la possibilità di creare un grande schermo da 550 m2. Questo ha dato anche la possibilità di offrire una visione migliore al pubblico che si trova lateralmente al palco, però ci ha complicato la vita nella realizzazione delle immagini da riprodurre, perché appunto bisognava tenere conto che il pubblico non riusciva a vedere tutto lo schermo completo, ma solo una parte di esso. La fornitura e l’installazione del display e tutte le riprese video sono curate da STS Communication di Milano.

Quanti bilici servono per questo palco?
Sono nove bilici per ogni palco. Viaggiamo con due palchi completi, mentre si fa uno spettacolo, l’altro palco viene montato sulla piazza successiva. Con questo sistema riusciamo a fare due spettacoli a settimana, ai quali vanno aggiunti altri quindici bilici di produzione, cinque di luci, due di video, due di audio, il resto tra generatori scenografie a varie.

Per l’economia del tour è più conveniente avere due palchi?
Considerando che per fare uno spettacolo servono quattro giorni di montaggio e due di smontaggio, con un palco non potresti fare più di uno spettacolo a settimana andando anche abbastanza veloci. Mentre, con due palchi, puoi recuperare qualche giorno. Visto che per i grandi tour i budget dei costi, sia materiale che crew, vengono fatti a settimana, riuscire a fare due spettacoli in una settimana di fatto riduce alla metà tutti i costi.

Jò Campana – Visual designer

“Il progetto si è sviluppato tutto attorno al video che la fa da padrone – spiega Jò – essendo uno dei più grandi schermi oggi utilizzati in Italia, con i suoi oltre 500 m2 di superficie ed una forma convessa a 180°. Il palco ha una forma abbastanza innovativa, la potrei definire democratica, cioè è un palco di cui il pubblico può godere da qualsiasi parte si metta; anzi, dirò di più: forse la parte centrale è la zona più penalizzante per  la visione totale dello spettacolo, perché guardando da un lato si ha una percezione di profondità maggiore. Questo ha creato a me e ai miei collaboratori parecchio stress nel lavoro di messa a punto dello show, perché dal punto centrale, dove di solito si posizionano le regie, si ha una percezione più schiacciata del risultato; quindi, nonostante i diversi giorni a disposizione per la programmazione, abbiamo dovuto fare qualche altra nottata per rifinire ulteriormente lo spettacolo.

Come viene percepito il video da un lighting designer?
Negli spettacoli rock di oggi non puoi più fare a meno del video, tranne che in alcuni casi particolari, quindi è normale che dobbiamo imparare ad usarlo al meglio, anzi, dico di più, dobbiamo imparare ad ottimizzarlo miscelandolo con le luci che ci danno continuamente delle nuove possibilità di utilizzo e di effetti. Oggi il titolo di lighting designer lo cambierei con visual designer, cioè colui che progetta e realizza tutto ciò che il pubblico vede.

Come hai sposato luci e video?
Ti potrei rispondere in un modo banale: una volta posizionato il video, che occupa tutta la parte centrale della scena, le luci non puoi che metterle sopra e sotto. Per mettere le luci sopra, Franco ha dovuto creare una copertura a sbalzo, su cui hanno appeso anche l’audio. Un’altra problematica è che il video è molto più luminoso delle luci, così per un buon mix abbiamo dovuto tenere il video al 20% della sua potenza luminosa. Una sera a Campovolo, durante le prove, abbiamo alzato al massimo la luminosità del LED e ci ha abbronzato tutti! Per guardarlo di notte alla massima potenza ci vogliono gli occhiali scuri. Nonostante la quantità industriali di proiettori, ho dovuto utilizzare in una scena fissa 24 MAC 2000 solo per illuminare la band. Oltre ai 124 Sharpy, ho usato altrettanti Alpha Beam 1500 sempre della Clay Paky, tanti Jarag e DWE e strobo in quantità. Per poter allargare il fronte luminoso, a fianco del palco, abbiamo posizionato una quindicina di MINI Big Lite.

Chi ha curato i video?
Tutta la parte video è stata gestita per la parte creativa dal terzetto Mikkel, Peter e Robby, mentre per la parte tecnica, capeggiata da Roberto Costantino, Made ha curato la messa in onda del video e il Time Code, mentre Dado ha gestito il Pandora’s Box, assieme a tutta la squadra di STS per le riprese live.

Alberto “Mente” Butturini
 Sound enigineer

La scelta del PA dal tuo punto di vista?
A questi livelli non si può accettare di lavorare con qualsiasi impianto. Se siamo qui con questo RCF vuol dire che lo abbiamo ritenuto idoneo ad eventi di queste dimensioni. Devo dire che questo connubio italiano a me piace, come idea. Poi ovviamente ogni impianto ha le proprie caratteristiche, entrare nel paragone con altri impianti non mi pare opportuno. Ma se fosse un impianto non idoneo non me l’avrebbero nemmeno proposto. A Roma è andata bene, qui abbiamo molte limitazioni acustiche e c’è già Carbone col suo fonometro pronto a saltarmi addosso come un puma! Ma credo che faremo un bel concerto.

Puoi descriverci il tuo set-up?
Ho ancora delle outboard alla DiGiCo SD7 per l’effettistica, il System 6000 TC e lo Yamaha 2000, ma uso anche alcuni effetti interni; invece le dinamiche sono Waves Platinum con SoundGrid. Uso molto gli strip SSL, più che altro per la pasta sonora, poi qualche multibanda, specie sulla voce, e de-esser.
La maggior parte dell’equalizzazione la faccio dal compressore dinamico, col C4.

Il microfonaggio?
Da segnalare un M82 Telefunken, molto caldo, pastoso e dinamico sulla cassa, insieme ad un SM91 e al Subkick. Anche sul rullante c’è un altro Telefunken, rotodo e incisivo per fare il suono anni ‘70 un po’ “panettoncino”. Sulle chitarre dei Cardinal EV insieme agli SM57 Shure.
Luciano usa una capsula “DPA d:factor” con trasmettitore Sennheiser: arriva nel banco dopo preamplificazione e conversione DiGiCo, poi strip SSL, compressore multibanda e de-esser.

Vedo qualcosa di analogico però…
Sì, stiamo uscendo non dalla console ma da un Dangerous mix bus 16 canali analogico, in cui mando otto bus stereo; la somma col master va poi all’impianto, e la divisione per il PA la fa il PA engineer.
La somma analogica è una specie di sperimentazione, perché con le console digitali, quando inizi a spingere pesantemente, qualcosa sul bus master succede, a livello di dinamica. Il sommatore analogico è invece una prassi da studio, e devo dire che la cosa ha il suo perché, certamente si guadagna in headroom; se devo essere sincero una prova scientifica ancora non l’ho fatta, ma di sicuro il master di SD7 suona diverso dal Dangerous. Ovviamente la conversione D/A è sempre DiGiCo: sarebbe stato figo provare dei convertitori esoterici, ma sarebbe stato anche troppo: non me la sono sentita di chiederlo!

Stevan Martinovic
 Monitor engineer

“Il monitoraggio – spiega Stevan – è abbastanza semplice: batteria con mixerino Mackie a cui mando mix di batteria stereo, la band, sequenze e click, insieme ad un sub Montarbo con un 15”. Il tastierista ha uno IEM e XXL a cavo di scorta. Bassita con XXL, chitarristi IEM e due wedge RCF. Luciano usa gli IEM e quattro wedge di spare TT22 che suonano anche meglio di quelli grandi. Questo perché non potevamo appendere dei side-fill.
“I backliner sono Salvo Fauci, personal di Luciano, Gherardo Tassi, che segue suo cugino Poggipollini e il bassista, poi Jack, cioè Alessandro Fabbri, e poi Federico Galeazzo, un ragazzo molto giovane che segue Pro Tools e le tastiere di Luisi, il quale manda anche le sequenze.
“Il video è collegato in SMPTE: va nello splitter come un segnale normale e poi è inviato al video. Il mio banco è un DiGiCo SD7 con i nuovi rack, uso SoundGrid ma solo per registrare con due MADI, anche se non abbiamo tantissimi canali, intorno ai 60, che comunque per cinque persone possono bastare!
“I microfoni radio hanno capsula DPA con trasmettitori 5200 Sennheiser con cui mi trovo benissimo: la voce è estremamente naturale e dinamica, tanto che abbiamo esteso il sistema a cavo anche sui chitarristi.
“Da sottolineare – conclude Stevan – che il Telefunken M82 sulla cassa è il mio, l’ho comprato apposta, perché non me lo davano ma ci tenevo ad averlo! Così come l’81 sul rullante!”.

CLICCA QUI PER ACCEDERE ALLA GALLERIA FOTOGRAFICA
gall icon

Vuoi vedere altre foto e rimanere aggiornato sugli ultimi concerti? CLICCA QUI!

vuoi restare sempre aggiornato sulle novità di settore? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Clicca qui per accedere alla galleria fotografica
(65 Foto)