Depeche Mode

Delta Machine

di Douglas ColeDepeche Mode

I Depeche Mode hanno appena completato una tournée mondiale di più di cento date in dieci mesi, con la quale entrano nel loro quarto decennio “dai palasport in su”. Partendo negli stadi in Europa l’estate scorsa, passando per gli “anfiteatri” americani e tornando nelle arene europee, il Delta Machine tour ha avuto un successo che rispecchia quello dell’omonimo disco dell’anno scorso.

Il gruppo composto ancora del trio di Dave Gahan, Martin Gore ed Andy Fletcher, nonostante l’entrare ed uscire dal mainstream pop varie volte dal 1980, mantiene una base di fan che lo rende anche classificabile come gruppo dal seguito cult. Azzardo a dire che, anche se non ci fosse stato il disco nel 2013 (disco che, tra l’altro, è stato in prima posizione della classifica in 14 diversi paesi e contiene tre single di successo), i risultati di presenze in questa tournée sarebbero stati simili.

La tournée è partita a maggio del 2013 in impostazione indoor/outdoor, passando per le arene più grandi e gli stadi della zona mediterranea orientale, Est Europa e, finalmente, Europa occidentale. A fine estate, tutta la produzione è stata spedita oltreoceano per 24 date statunitensi, quasi tutte in quelle venue mezzo-coperte (che si chiamavano tutti “Blockbuster” per poi diventare tutti “Verizon” per poi prendere altri nomi) le quali ormai dominano il circuito estivo nordamericano. Dopo un mese di riposo, la produzione è ripartita per altre quasi 50 date indoor in Europa.

Avendo mancato le date di San Siro e dell’Olimpico l’estate scorsa, ci ha fatto gran piacere vedere in calendario una data a Bologna durante il colpo di coda di questa lunga tournée e, con il prezioso aiuto di Live Nation Italia, ci siamo recati alla Unipol Arena (già FuturShow Station, già Palamalaguti ecc) per parlare con i professionisti che hanno seguito la produzione in tour.

Le date italiane in questa tranche sono state al Palaolimpico, Torino, al Mediolanum Forum di Asago (MI) e, finalmente, questa in Emilia.

La squadra incaricata da Roberto De Luca di gestire le date italiane, e che ci ha accolto, è capitanata dal direttore di produzione Danilo Zuffi, che è stato bello vedere forte ed in gran forma. A coadiuvare Danilo troviamo Riccardo Genovese ed Alberto Muller, con l’assistenza di Fiona Mackay. L’artist coordinator è Pamela Allvin, e il marketing director è Marco Boraso; account assistant è Michela Tagliabue, mentre la tour accountant è Laura Palestri che vorremo ringraziare in particolare per il suo aiuto.

 

antony gittinsAd accompagnarci in sala è Antony Gittins, il direttore di produzione in tour, che ci riferisce alcuni dati sul tour: i fornitori principali sono Britannia Row per l’audio, Lite Alternative per le luci ed XL Video per il pacchetto camere/schermi. La produzione viaggia in otto TIR, in qualche modo meno di quello che ci aspettavamo: non che siano pochi ma, vista la natura e la reputazione della band, avevamo in mente l’idea di un megaproduzione. Invece troviamo in sala un palco piuttosto grande con una singola passerella dritta e centrale. La scenografia è spartana e simmetrica e, già da spenta, si intuisce essere piuttosto “videocentrica”. Infatti uno schermo LED ininterrotto forma il ciclorama dell’intero palco e arriva in alto fino al livello delle truss luci. Due schermi laterali affiancano il palco ed una forma “V”, composta da moduli LED, punta verso il fondo palco, sospesa in alto. Gli elementi principali del parco luci sono cinque pod, formati da cerchi di truss, ognuno con cinque teste mobili, qualche pannello Elidy, uno strobo e qualche proiettore al tungsteno, ognuno pod indipendentemente movimentato ed inclinabile. Il palco e la scenografia sembrano un eccellente lavoro di ottimizzazione... un progetto ben pensato e pulito, grande a sufficienza ma tutt’altro che mastodontico.

L’audio, invece, dà forse un’impressione più imponente. Visto che il tour fa il pienone senza eccezioni, anche nelle venue molto più grandi dell’Unipol, il palco è sistemato con una visibilità che va ben oltre i 180°. Questo permette di sfruttare la vendita anche dei posti a sedere a 30° dietro il boccascena. Conseguentemente, oltre agli array main e side V‑DOSC, è sospeso un ulteriore cluster di KARA che punta perpendicolare al palco. Il sound design fa uso dei SB218 sospesi in un array a parte su ogni lato, oltre a quelli appoggiati, rendendo ancora più impressionante l’aspetto visivo dell’impianto. Si capisce subito, insomma, che qui non si scherza con la riserva dinamica o il volume.

L’audio in sala

A proposito dell’audio, incontriamo il fonico FoH, Antony King che ci accompagna su un tour bus di lusso della produzione, dove ci sediamo comodi a chiacchierare. Dopo esserci presentati ed aver scambiato qualche parola, la curiosità prende il sopravvento e gli chiediamo la sua provenienza, incuriositi dall’accento impossibile da localizzare. Ci spiega che è Canadese di nascita, cresciuto a Parigi e che lavora principalmente in UK. Antony è veterano di tournée al FoH con Amy Winehouse, Beck, The Cure, Petshop Boys e il franchise ex-Oasis, Noel Gallagher’s High Flying Birds. Poi ci concentriamo su questo giro con Depeche Mode.

“All’inizio – racconta Antony – questo tour era negli stadi e poi tutte queste altre tranche sono semplicemente una continuazione dello stesso ‘prodotto’. Mi piace molto lavorare negli stadi e mixare in grandi spazi aperti senza muri e tante riflessioni; anche se però c’è sempre quella tribuna lontana dietro la regia che rompe le palle! È molto interessante provare a far suonare bene ed omogeneamente un concerto per 80.000 persone in diversi posti. Ci sono anche molti più giocattoli a disposizione.

“Dopo gli stadi in Europa, siamo andati a fare gli shed in America (‘shed’ è il termine in jargon per i teatri greci semi-coperti; i famosi ed erroneamente nominati ‘amphitheater’ – ndr). Poi siamo venuti nei palasport quando la stagione l’ha obbligato”.

“Il setup è tutto Midas – continua Antony – un XL8 al palco ed uno, più spare, al FoH. Questo è il mio secondo tour con DM e non ci facciamo mancare niente, stiamo facendo le cose come si deve. La console è piena: 96 canali, con i miei effetti.

“Mando solo destra e sinistra al PA. Essendo in tour con questo sistema, è accordato e sistemato esattamente come mi piace, perciò non c’è bisogno di canali sub separati o altro, una scelta valida quando c’è una tournée con un circuito di festival, dove non sai mai chi ha impostato il PA, come l’hanno fatto o per quale tipo di musica. Se devo fare effetti o enfasi io con i sub, lo faccio sul banco regolando il passa-alto... questo è già sufficiente per far vacillare le palle a tutti.

Antony King

 

“Dal banco esco in analogico, poi L/R passano dentro un Massenburg 8900, poi ad un mazzo enorme di processori Lake, grazie ai quali controllo più o meno ogni coppia di diffusori del sistema: ho il controllo su tutto, solo che lo facciamo dal tablet, anziché da un fader.

“L’impianto – continua Antony – è composto di 16 V‑DOSC più tre dV‑DOSC sul main e 12 V‑DOSC più tre dV sui side (fino a 14, dipendente dalla serata e la venue). Poi ci sono 12 KARA per coprire fino a dove non si vede più il palco per gli schermi, anche a 135° in alcuni posti. Normalmente abbiamo anche dei delay, non qui a Bologna, perché non servivano. Quelli li prendiamo sul posto quando sono necessari.

“Per quanto riguarda i fill – spiega Antony – evito sempre un array centrale, anche quando non c’è una passerella, penso che causi parecchi problemi per il cantante. Abbiamo tutti frontfill dV‑DOSC e poi, proprio nel centro dove inizia la passerella, c’è una coppia di 108P, per mantenere coperti quelli angoli lì. Per i sub ci sono otto dei vecchi 218 sospesi e otto appoggiati per lato per lato. Il sistema è un sistema V‑DOSC tutto ‘d’epoca’, compresi gli amplificatori LA48 e la gestione Lake”.

 

Cosa ti arriva dal palco?

Abbiamo un po’ più di settanta canali: 24 canali di batteria... ci sono tanti tamburi per un gruppo che una volta non li usava. Poi ci sono quattro canali di effetti che arrivano dalla batteria. I canali microfonici vengono processati in Ableton e rimandati a me.

Abbiamo sei canali di tastiere per Andrew Fletcher, sei canali per Pete e sei canali per Martin, anche lui su tastiere Virus e vari altri. Tanti dei suoni vengono triggerati e sono i patch originali dei dischi. Ci sono tre canali di chitarra per Martin. Poi c’è la voce principale di Dave, e Martin ha due microfoni vocali, che sono di due postazioni. È tutto abbastanza standard.

Tutti i bassi sono delle sequenze, che arrivano tramite MADI da ProTools al lato palco. Kerry Hopwood ha messo insieme tutto il sistema per le sequenze. Dal suo rig le sequenze arrivano a me in MADI e, tramite due DN9650 (X e Y), vengono convertite in AES50; ad eccezione del brano Pain that I’m Used To, dove Peter Godino suona un basso.

Per quanto riguarda i microfonaggi, state facendo qualcosa di particolare?

Io lavoro in modo più semplice possibile. Le cose fantastiche e sperimentali nello studio possono essere uno sfogo creativo enorme... ma in tournée, provare le cose speciali e nuove generalmente vuole dire scavarsi la propria tomba, anziché migliorasi la vita. Perciò, non c’è niente di straordinario in termini di microfoni... sono tutti SM57, SM91 sulle casse, SM56 sui tom. Ci sono quattro overhead, AKG C414... di nuovo, niente che non si trova ovunque. Non c’è niente che si possa mettere in paragone ad un SM57 sul rullante... motivo per cambiare non l’ho ancora trovato. Vedo tanti i miei colleghi che si entusiasmano per nuovi microfoni o modelli rari o pregiati. Nel mezzo di una tournée, quando si rompe il nuovo giocattolo a 3000 km di distanza dallo sponsor che gliel’ha fatto avere, finiscono sempre a prendere in prestito il 57 dalla batteria del gruppo spalla... meglio evitare la perdita di tempo.

Con questo tipo di musica immagino ci sia poco volume sul palco...

No, no, no! Infatti, è quasi tutto in wedge, anzi: per la prima volta abbiamo qualcuno in IEM. C’è molto volume sul palco, ma sulla tournée precedente ce n’era ancora di più, era proprio pazzesco!

In queste venue hai problemi dovuto al volume del palco?

A dire la verità, Sarne (Thorogood, fonico di palco – ndr) utilizza un suono pulitissimo nei wedge, perciò non è che arrivi un muro di immondizia. Fa un po’ colore sui microfoni ma non è troppo problematico. Per questo tour, Dave ha deciso finalmente ad usare uno IEM, così Sarne ha potuto ridurre il numero di wedge sul palco. Dave sta anche godendo di questa scelta e sta cantando molto bene, perché ha una costanza che non aveva prima. Lui corre in giro come un matto e non aveva mai una copertura costante dai monitor, era impossibile. Adesso con l’IEM sta lavorando molto bene.

Ci sono sempre molti monitor sul palco, ma in precedenza tutto il bordo del palco era un muro solido di wedge per lui, poi c’erano dei sidefill pazzeschi. Adesso come sidefill rimane solo un sub per lato. Così, anche se sembrano tanti i monitor sul palco, abbiamo già ridotto più di metà.

Lo show è molto “attivo” per te, o hai più o meno sistemato tutto da un anno e ti godi il concerto durante la serata?

Beh, non è che devo ballare. Abbiamo lavorato quasi due mesi nelle prove prima di partire un anno fa... poi l’altro giorno a Milano mi hanno detto che era la centesima data. Le cose sono abbastanza sistemate, ma dipende dalla sala quanto devo regolare durante la serata. In parecchi palazzetti, la passerella è quello che mi tiene sulle dita dei piedi.

Avete avuto prove musicali per due mesi... mi sembra un lusso!

Sì, faceva molto comodo. Eravamo a SIR a New York, con la band in una sala ed io nell’altra. Io e Kerry Hopwood, che fa tutte le sequenze e programmi, registravamo tutto ogni giorno nel DN9696 e abbiamo avuto tempo di avere tutto liscio e pronto prima di partire.

Nello studio, ascoltavo tutto in due 218 ed un paio di ARCS, più un paio di 1031 e dei Dynaudio DBM50. Usavo generalmente i Dynaudio per stabilire i mix. Gli ARCS ed i sub li usavo per far ascoltare la band quando venivano a sentire. Dopo essere stati in una sala prove con 18 monitor d&b in faccia, i DBM50 sarebbero stati un po’ deludenti, così per loro tenevo di riserva i calibri grossi.

State usando il DN9696 anche per le registrazioni in tournée?

No. Abbiamo optato per registrare tutto su un sistema Sequoia, perciò usciamo dall’XL8 in AES50 ad un DN9650, che poi esce in MADI ad una scheda RME. Il sistema Sequoia è su un AudioPC System della Digital Audio Networx.

Hai un sistema in particolare che ti tiene sano di mente durante lo spettacolo, o uno stile preciso nell’usare la console?

No: quando tutto diventa una procedura da manuale, dov’è il rock-n-roll? Penso che ci sia già abbastanza routine in questo lavoro, preferisco fare le cose che mi fanno stare allerta, anziché quelle che mi cullano fino alla noia. Per esempio, quando ci sono dei cambiamenti nella scaletta, mi piace non riordinare le scene sul banco. Almeno in due o tre punti dello spettacolo, sono costretto a spegnere il pilota automatico e cominciare a pensare su due piedi. Se passi una tournée intera solo a premere “next”, non ci si allena nemmeno a fare il proprio lavoro, tanto meno c’è una sfida a migliorare.

Non è un gig di livello un po’ alto per prendere e volare a naso?

Beh, non è che faccio il funambolo... le cose rimangono sempre sotto controllo, infatti penso che lo show sia nelle mani più capaci se sono qui nelle condizioni in cui devo pensare, anziché essere mezzo addormentato e cullato dalla tecnologia fino ad un falso senso di sicurezza.

Io non ho uno “stile” di mixaggio in particolare... non sono il produttore del disco, il mio lavoro in tour è far sì ché la band si senta bene durante i concerti.

Come ti organizzi sull’XL8, allora?

L’XL8 è fantastica. Mi è sempre piaciuta. L’abbiamo usata anche sul tour precedente. Mi piace moltissimo l’idea dei Pop Group. È un modo di organizzare le cose sul banco, secondo me, senza paragoni. È molto intuitivo e il fatto che è codificato a colori è perfetto. Se devo scorrere 96 canali per trovare il sotto-rullante, sapere che è sempre lo stesso colore è già un grosso vantaggio.

C’è chi li usa per diverse impostazioni del palco o diverse gruppi di strumenti, per set acustici ecc., ma io uso i Pop Group divisi per persone sul palco. Innanzitutto, ho un gruppo drums e un gruppo dei tom. Questo rende facile mettere le mani subito sui tom o sulla batteria quando c’è un “moment” di Christian. Tengo d’occhio lo schermo LED e quando l’I-Mag butta lui nel live, tiro su i tamburi e do un po’ di spinta ai tom o al rullante. Gli altri Pop Group sono tutti assegnati alle persone. Li uso per il mixaggio anziché per tirare su i canali per correzioni al volo. Lavoro in modo visivo. Se qualcuno ha un assolo, chiaramente, sarà su uno strumento nel suo gruppo... il gruppo di Martin è di circa 15 canali, tra chitarre e tastiere, ma lui avrà solo uno di questi strumenti attivi in un singolo momento. Perciò, anche se uso il VCA assegnato a Martin per aggiustare il livello, apro il Pop Group di Martin per assicurare che le cose giuste siano in mute in quel momento. Martin viene avanti sul palco, il gruppo Martin è aperto per verificare i canali in uso e il fader del “Martin” VCA va su.

Sarne ThorogoodL’audio sul palco

Ci raggiunge al tavolo Sarne Thorogood, il fonico di palco dall’accento inequivocabilmente molto meridionale... dell’emisfero australe: Nuova Zelanda per precisione.

“Ho fatto tutti i tour con i Depeche dal 1998 – racconta Sarne – nel 1998 facevo il system engineer con Britannia Row, e dal 2000 faccio i monitor. Ogni tour ha avuto un fonico diverso in sala, a parte gli ultimi due quando è arrivato Antony”.

“Questa tournée – spiega Sarne – rappresenta veramente una rivoluzione per quanto riguarda il monitoraggio, con Dave che usa il monitoraggio in-ear. Christian, il batterista, ha sempre usato un monitoraggio in-ear e Martin ha sempre usato un in-ear per un singolo orecchio per la sua voce. Ma il fatto che il cantante abbia deciso di usarli è veramente un cambiamento di direzione”.

“Grazie a questa decisione, abbiamo potuto ridurre il numero di monitor a terra. Se mi ricordo bene, sull’ultimo tour usavamo 24 wedge d&b Audiotechnik M2 solo lungo il bordo del palco e adesso abbiamo ridotto a 18 il totale e abbiamo eliminato i sidefill del tutto. Rimangono solo i sub ai lati. Hanno capito che quei cluster di sei ARCS per lato creavano anche problemi di visibilità per il pubblico ai lati del palco. Infatti, per questo giro, stanno vendendo i posti fin dietro il palco, finché si riesce a vedere intorno agli schermi. Questo beneficio è solo un effetto collaterale positivo, però. Ma era da anni che cercavamo di far provare a Dave gli IEM”.

Quale in-ear sta usando il cantante?

Dave sta usando gli auricolari Ultimate Ears UE11 con trasmissione Sennheiser Serie 2000. Abbiamo provato con gli auricolari ACS, che sono flessibili, ma finalmente siamo arrivati ad usare gli Ultimate. Dave ha sei paia di questi e cambia almeno tre paia ogni serata, perché è super-attivo sul palco e il sudore diventa un problema. È contentissimo con questa scelta. Non ha perso la voce neanche una volta in questo tour, che è una novità. Oltre all’uso degli IEM, ad aiutare questo è stato il booking, che ci ha fatto sempre avere almeno un off dopo ogni show. Solo qualche anno fa facevamo show, show, show, off, show, show, show, off e così via. Con quella tabella di marcia e monitoraggio tutto in wedge, la voce di Dave soffriva molto.

Com’è cambiata adesso la richiesta sua per il monitor mix rispetto a quando usava solo i wedge?

Il mix è sorprendentemente molto simile a prima. Mi ha chiesto più o meno le stesse cose – questo mi dice che, almeno, avevamo centrato bene l’ascolto con i wedge nel passato! A lui piace molto riverbero e molto delay. Dave chiede sempre di avere il livello al massimo possibile.

È un mix ascoltabile o è un mix molto da cantante?

No, io non lo vorrei ascoltare, almeno! È un mix molto voce-centrico. Per fortuna il livello sul palco è sceso, ma è ancora molto cicciotto (considerando i 18 M2 e due SB218 che rimangono). Il mix dell’IEM è quasi tutto con la sua voce e le tastiere... le cose che gli servono per la tonalità.

Chiede anche il suono del pubblico?

Gli unici microfoni sul pubblico sono gli Shure KSM32 ai lati del palco. Quelli vengono utilizzati molto di più da Antony per le registrazioni che da me. Per il pubblico, c’è già così tanto che entra nel microfono di Dave che non servono, in tutta onesta non gli ho aperti negli IEM da mesi. Il pubblico dei Depeche è così eccitabile che si fanno sentire anche sopra le centinaia di casse L-Acoustics del main e la ventina di casse sul palco.

Gli altri cosa chiedono?

Gli altri hanno dei mix molto più bilanciati, con tutto praticamente. Le tre postazioni delle tastiere hanno dei mix stereo tra gli M2. Alla batteria, Christian usa gli in-ear con un mix stereo, uno sub e un kicker nel seggiolino. Il sub è un dV‑Sub che, secondo me, è l’unico sub da usare con la batteria, perché sviluppa tutta la pressione proprio nel campo vicino.

Io ascolto quasi sempre su un IEM esattamente come quello di Dave, ma in regia ho sempre anche un paio di M2 in stereo.

Com’è composta la tua regia?

Sto usando sempre la Midas XL8, la mia console preferita, su questo tour, come sugli ultimi. L’unico outboard che uso sono due riverberi TC4000, solo per la voce di Dave. Tutto il resto è all’interno dell’XL8.

Tutte le sequenze entrano in digitale, tutte le uscite per i monitor a terra sono in AES, per i finali d&b. I riverberi esterni sono in insert AES. Solo per gli IEM ci sono mandate analogiche. Così, il sistema è molto pulito, almeno in confronto al tour precedente dove tutto era in analogico.

Le scene sono organizzate direttamente con i brani, mentre la batteria e la voce di Dave sono recall-saved e non sono comprese nelle scene.

In totale i mix sono 32 compresi, ovviamente, le mandate degli effetti. Gli ingressi sono 96, compresi i ritorni d’effetto ecc.

Almeno, comunque, non hai grosse preoccupazioni con le radiofrequenze.

Il batterista usa un sistema a cavo per gli IEM, perciò non è un ambiente radio molto difficile. Ci sono solo otto canali di IEM, perché i backliner hanno degli IEM con dei mix specifici. Poi ci sono solo quattro radiomicrofoni, tutti Shure UHF‑R/SM58, due per Dave e due per Martin.

Abbiamo provato diversi microfoni con Dave, ma continuiamo a tornare ad uno standard SM58 UHF.

Chi sono gli altri nella squadra di palco?

Il mio copilota è Tom Willy, un altro Kiwi. Ha cominciato con Britannia Row appena prima di questo tour. Poi ci sono Kerry Hopwood e Ben Adams al Pro Tools.

I Backliner sono Jeremy Webb che cura le chitarre e Martin, e Robo (Iain Robertson) che segue la batteria; Ben è anche il tecnico delle tastiere.

graham feastLe luci

A darci un po’ di informazione sull’aspetto illuminotecnico è Graham Feast, il direttore luci.

“Lo show design – spiega Graham – è una collaborazione tra il lighting designer Paul Normandale ed il fotografo e regista Anton Corbijn. Corbijn ha lavorato con i DM per più di vent’anni, producendo varie copertine per i dischi, artwork, contributi video ecc. Io conosco Paul da più di quindici anni e ho lavorato con lui su vari progetti. Questo è il mio secondo tour con Depeche Mode, ma è il terzo o quarto disegnato da Paul.

“Gli elementi luci e video – continua Graham – sono concepiti ed eseguiti in modo inseparabile. Anton ha presentato delle idee abbastanza chiare e precise su l’aspetto dell’illuminazione e palco nei momenti in cui i suoi contenuti video vengono riprodotti. Anton sceglie sei o sette brani nella scaletta e produce dei filmati appositi, che si coordinano con la musica. Le luci per quei brani lì sono ben stabilite per completare i contenuti. Tutti i contenuti video sono pilotati in timecode, mentre le luci, dal punto di vista operativo, sono tutte controllate manualmente – nel senso che è programmata una singola cue stack, con ogni cue programmata con i vari macro ed effetti per le scene. Il feel è molto influenzato dal modo in cui la band ha cambiato le dinamiche dei brani nel corso della tournée. Hanno cambiato moltissimo gli arrangiamenti ed i momenti musicali da quando ci sono state le prove. Questo vuol dire che devo stare dietro Dave per capire come verranno gestiti certi brani o certi momenti dello spettacolo. In breve, sì, lo spettacolo è programmato fino al battito, ma sto ancora facendo molto da rock-n-roll”.

Chi ha ha fatto la programmazione?

Io. Uno delle cose belle di lavorare con Paul è il suo metodo di rapportarsi con il programmatore. Produce un brief indicativo per tutte le scene, ma lascia a me la mano libera nella programmazione. Io conosco il materiale molto bene, perciò riesco a programmare molto velocemente e lui può criticare e correggere quanto realizzato. Altri designer hanno delle idee molto fisse e dicono “cue 1: questo look, questo tempismo e questo colore; cue 2: così e cosà” eccetera. Paul mi permette invece di portare avanti il progetto e ha qualcosa da vedere subito, invece di stare lì con me che faccio una cue alla volta. L’ambiente creativo è molto più fertile così.

Cerco di programmare qualsiasi show nel modo più semplice possibile. Questo mi permette di avere più attenzione da dedicare alla vera “regia luci” durante lo spettacolo, cioè tenere d’occhio gli artisti per essere sicuro che siano illuminati bene per le telecamere, chiamare i seguipersona ed essere sicuro che lo show abbai l’aspetto che intendeva il designer in ogni venue. Per questo uso una cue stack unica e le luci programmate quasi quasi vanno col pilota automatico.

Che console usi?

Lo show è programmato e pilotato da una Hog4 che a me piace moltissimo. Una console è come un’automobile: più o meno qualsiasi marchio o modello ti porterà dal punto A al punto B... la grande differenza sta, però, nel livello di comfort con cui lo fa. Io non ho mai proprio sposato qualsiasi console, ma della Hog4 mi piace molto la filosofia della superficie di controllo e, fin adesso, è stata solida come una roccia.

Puoi parlarci del disegno luci vero e proprio, a livello di proiettori e architettura?

Il disegno principale è costruito intorno a cinque anelli di truss, tutti movimentati con sistemi Kinesys. Questi vengono usati durante lo spettacolo per creare scene simmetriche o asimmetriche.

Il parco luci è basato principalmente sui VL3500FX, MAC3, MAC Viper, alcuni Mole Beam e Mole PAR (una luce Mole Richardson che dà una luce calda da tungsteno). Ci sono quattro seguipersona, due in sala e due sopra il palco. Abbiamo 15 pannelli Elidy, tre per anello. Mandiamo contenuti stock su questi ultimi da un server Catalyst per creare degli effetti interessanti nel fumo. Dalla regia al palco c’è un collegamento in fibra.

Presumo che il coordinamento tra illuminazione e video sia fondamentale.

Abbiamo cominciato le prove con la produzione il 28 aprile del 2013. Durante la programmazione abbiamo passato una serata intera solo a lavorare sul coordinamento tra luci e video: dalle temperature colore e il lavoro di regia di fotografia su vari brani per le riprese, al bilanciamento dei livelli tra fari e schermi.

Jon ShrimptonLa regia video

Finalmente, arriviamo dietro il palco, dove incontriamo Jon Shrimpton, il direttore video, che ci spiega i punti principali dell’impianto video in tournée.

“La squadra video – dice Jon – è composta da me, un ingegnere video, l’operatore Catalyst, tre tecnici per lo schermo ed un responsabile per le telecamere. Il service video è XL Video, con lo stesso materiale ci ha seguito per l’intero tour, Stati Uniti compresi.

“Abbiamo uno schermo molto grande upstage che viene utilizzato, più che altro, per i filmati prodotti da Anton Corbijn. Gli schermi laterali, invece, servono molto di più per l’I‑Mag.

“Lo schermo – continua Jon – è stato originalmente concepito come cinque grandi triangoli. Questo, invece, si è rivelato troppo complesso per il rigging. Perciò si è deciso per un singolo grande muro tradizionale dietro il palco. L’effetto della suddivisione in triangoli poi viene effettuato in diversi momenti dello spettacolo direttamente nel programma che mandiamo noi.

“Tutti i display LED sono i PixLED X12, compresi quello principale e quelli laterale. Questo è perfetto, perché ottimizza la logistica con gli spare, ecc.

“Le quattro telecamere presidiate sono Sony HSC100, poi ci sono cinque Bradley Campbell 2. Queste ultime sono telecamere a controllo remoto PTZ, costruite in fibra di carbonio, sono resistenti alle intemperie e hanno anche l’infrarosso incorporato. Io piloto anche quelle dalla regia.

Infine – conclude Jon – ci sono i mediaserver Catalyst che vengono usati per la riproduzione dei contenuti e sono agganciati al timecode mandato dal Pro Tools sul palco. Questi vengono usati anche per la divisione delle immagini live sulle varie forme e triangoli sullo schermo. Stiamo mandano cinque ingressi video al Catalyst, questi sono assegnati dallo switcher, dipendente dal brano, da com’è composto e diviso lo schermo tra i segnali e da quali effetti vengono applicati. Il Catalyst qui viene controllato da una console grandMA2 Light per le cue ecc”.

Che tipo di contributi preprodotti ci sono, filmati, grafici?

Anton ha uno stile specifico nel produrre contenuti che sono filmati veri e propri. Non sono certo sicuro dei significati di questi vari filmati, ma il mio lavoro è essere sicuro che vengano visti correttamente e nei momenti giusti. Ci sono otto brani totali che hanno questo tipo di contributi, mentre per il resto dello spettacolo riempiamo lo schermo centrale con l’I‑Mag e riprese con effetti.

Cosa usi in regia per lo switching e per gli effetti?

Io sto mixando nove telecamere. Per gli effetti e switching, sto usando un sistema Grass Valley Kayak, uno dei miei oggetti preferiti. Lo usiamo per gli effetti perché è molto più semplice che mandarli ad un server e perché ci servivano effetti più semplici – di colorizzazione, ritardi sovrapposti, eccetera – che non ritardano l’immagine troppo. Tutto rimane sempre visibile e pulito. Tanti dei look dell’I‑Mag sono stati studiati direttamente con Anton.

Lo show

Pur non essendo mai stato un fan (ma neanche un detrattore) dei Depeche Mode, devo riconoscere la loro grande capacità di attirare e di intrattenere il pubblico. Raramente avevamo visto l’ex-Palamalaguti così pieno, e per di più con un pubblico di età molto eterogenea: un buon segnale per una band che gira dal 1981.

La scaletta rimane energetica e la folla frenetica. L’idea che ci eravamo fatti all’arrivo, cioè che lo show sarebbe stato una “videostravaganza” non si è rivelata vera. Anzi: l’uso dell’I‑Mag è gustoso e, in fondo, utile. Gli effetti di suddivisione dello schermo sono sempre ben pensati e mai confusi. I video preprodotti, alla fine, sono molto ben fatti (Corbijn è, indiscutibilmente, un maestro nel creare video musicali) ma servono più che altro per la parte del pubblico più lontana. La scenografia spartana è anche assolutamente appropriata perché, sul palco, effettivamente serve poco altro che il personaggio di Dave Gahan, che chiude il pubblico nel palmo della mano dal suo ingresso in scena, piroettando da un lato del boccascena all’altro.

Il resto dello spettacolo visuale è molto bello e diverso da quello che ci aspettavamo. Le scene variano da quadri di colori ricchi a momenti rock fortemente contrastati. Viene anche sfruttata al massimo l’architettura variabile degli anelli sopra il palco per creare momenti più chiusi ed intimi e momenti più ampi ed aperti.

L’audio è decisamente buono. Il volume è alto, senza arrivare mai ad essere scomodo. È potentissimo e più nitido di quando sembrerebbe possibile in quell’ambiente. Chiaramente non ci si aspetterebbe meno da una produzione di questo livello, per di più particolarmente rodata come questa. Insomma un gran concerto: è davvero un piacere vedere un’esecuzione come questa.

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