Muse

The Second Law

di Douglas Cole

Ad ottobre i Muse si sono imbarcati in una tournée con date già in vendita fino a luglio 2013. Durata prevista: circa due anni. Dopo una pausa ad agosto del 2011, mese in cui hanno fatto solo un paio di concerti, il gruppo si è dedicato alla produzione dell’ultimo disco, The Second Law.
Ci siamo recati a Pesaro per il secondo dei due spettacoli italiani, back-to-back, della prima tranche del tour dedicata ai palazzetti europei. Una produzione che, quando arriverà l’estate, si espanderà per adattarsi agli stadi.

museDevo ammettere – di nuovo – di aver seguito un errato preconcetto personale, catalogando questo gruppo, in base ai brani ascoltati in radio, come una riproposta pop-mainstream d’influenze JeffBuckleyane, e di averli successivamente ignorati. Un supergruppo, già in tour negli stadi da qualche anno e che può vantare un ampio seguito sia da parte di una base di fan sia dal più vasto e volubile pubblico generale recentemente ipnotizzato dal “mua mua mua mua mua mua muaaaaa muaaaaa muaaaa” del primo single del nuovo disco, Madness. Eppure, fino ad ora, non li avevo mai presi sul serio. Recito il Mea Culpa.
La scena di questo nuovo tour è basata su un palco decentrato con visuale a 360° a forma di anfiteatro, con il fondopalco delimitato da schermi LED, come pure il frontepalco e la pedana della batteria. L’effetto dello spettacolo è invece costituito da una serie di truss quadrati concentrici motorizzati, sospesi sopra il centro del palco,  che scendono in modo telescopico a formare una piramide di schermi LED, su cui vengono visualizzati video live e contenuti preprodotti.
Il concetto dello schermo LED a 360° che cambia forma sopra il palco non ci è nuovo – avendolo visto non solo con gli U2 (portato all’estremo limite di tecnologia e budget), ma anche con Céline Dion qualche anno fa con i semitrasparenti – ma in questo caso è creato con i truss, cosa estremamente furba per la logistica della produzione, perché non solo è molto efficace scenicamente, ma offre anche il bonus di poter nascondere sessanta piccole testemobili al suo interno. Qualche altra gran sorpresa viene estratta dal cilindro durante il corso del concerto – tipo i laser, il pianoforte a coda illuminato dall’interno ed altri – ma il centrotavola rimane questo, e viene sfruttato al massimo, con posizionamenti sempre diversi.

Palco, scena e luci di questo tour sono stati concepiti e progettati (ed anche eseguiti dal vivo) dallo show designer Oli Metcalfe e dal suo studio, mentre il suono di sala è nelle mani di Marc “MC” Carolan, fonico che non avevamo personalmente conosciuto prima, ma il cui lavoro ci aveva già stupito con gli Snow Patrol, gruppo di spalla nel mega-tour 360° degli U2.
I fornitori per questa tournée sono britannici e ben conosciuti: NegEarth per luci e rigging, Skan PA per l’audio, XL Video e laser di ER Productions. La produzione italiana è invece portata avanti dalla squadra di Giulio Koelliker per conto di Vivo Concerti, il promoter italiano.

I Muse – Matthew Bellamy, Christopher Wolstenholme e Dominic Howard, con il tastierista Morgan Nicholls che li accompagna da anni in tournée (ma non lo nascondono sotto il palco come fa un altro gruppo) – sono bravi sul palco ma senza esagerazioni artificiose: coerenti all’immagine introversa della loro musica, ma visibilmente divertiti davanti al pubblico. In poche parole, fanno uno spettacolo divertente e molto affascinante dal punto di vista musicale e visivo. La produzione, invece, è straordinaria. Le luci e il video non stancano e la varietà di scene possibili con tutti gli elementi disponibili sembra infinita... molto bella anche vista da dietro il palco, dove viene sfruttato l’angolo di visuale del pubblico per giocare con un palco ad alta riflettanza. Il suono è ottimo: la voce non rimane sempre ben definita spostandosi fuori dell’asse degli array, ma fortunatamente ci sono veramente pochi punti nell’arena dove non ci si trovi con un array in faccia, essendocene ben sette. Ma non è solo lo spettacolo visivo quello in cui tirano fuori i coniglietti: l’impianto sospeso è un  full-range e già porta una botta impressionante, ma quando arrivano i primi brani con bassi forniti dall’elettronica, Carolan aggiunge anche tutti gli Infra nascosti sotto il palco e trasforma un audio bello in un effetto speciale da non perdere, veramente un’artiglieria.


Oltre ad essere una produzione fantastica, cosa evidente allo spettatore, dobbiamo appuntare un fatto che non è così ovvio, specie in questi ultimi periodi: è concepita in modo molto road-ready e furbo per essere trasportata, montata e smontata con estrema agilità.


La produzione italiana
A raccontarci l’organizzazione di queste due date italiane è Giulio Koelliker, direttore di produzione o, meglio, promoter rep (letteralmente “rappresentante del promoter”). Giulio_Koelliker_Matteo_Chicchiarelli
“È attualmente uno dei gruppi più forti in Europa – racconta Giulio –. Hanno un budget importante, ma dobbiamo anche dire che i soldi sanno spenderli bene, come hanno sempre fatto. Anche nelle produzioni passate – SanSiro del 2010, il tour nei palazzetti del 2009 e il tour del 2007, quando suonavano in posti molto più piccoli, hanno sempre investito soldi sullo show, infatti sono sempre stati un gruppo molto forte nel live. Anche quando non vendevano dischi, attiravano molta gente.
“La produzione – continua Giulio – è inglese, il promoter è italiano, Vivo Concerti. Tocchiamo due palazzetti, Bologna e Pesaro. Poi quest’estate faremo gli stadi che sono appena stati annunciati, cioè Roma e Torino.
“Come ‘promoter rep’, secondo la terminologia inglese, tengo tutti i rapporti con la produzione straniera e li metto in condizione di montare al meglio quello che devono. Quindi mi occupo di tutte le loro esigenze di personale, di struttura e di tutto quello che deve essere gestito a livello locale, una mansione che svolgo ormai da tempo per diverse agenzie.
“Lavoro con i Muse dall’epoca in cui suonavano ai Magazzini Generali – conclude Giulio –. Quindi, fondamentalmente, a parte il direttore di produzione che è cambiato recentemente, il cuore della produzione è sempre lo stesso, come i personaggi chiave in tour. Ormai ci conosciamo molto bene e lavoriamo insieme in maniera piuttosto rodata. Anche questa volta, infatti, problemi zero. È certo una produzione da seguire attentamente, più che altro in preproduzione: quando si lavora bene prima, con la squadra giusta e le persone giuste, il grosso del lavoro è praticamente fatto”.

Chi compone la tua “squadra giusta”?
La nostra squadra, come sempre, è formata da me e Matteo Chichiarelli che insieme facciamo la produzione. Matteo è il site coordinator e io faccio da collante con la produzione, ma la facciamo veramente assieme. Poi abbiamo l’assistente di produzione, Gioia D’Onofrio, e l’artist coordinator, Jessica Guastella, che ci seguono su entrambe le date. A Bologna c’eravamo in advance anche noi e Piero Chiaria  come il responsabile del load-in e load-out. A Pesaro, invece, abbiamo avuto una squadra B per coordinare la produzione: Mirco Veronesi e Andrea Aurigo, con i rigger. I generatori sono stati forniti da Italstage.


La parte più impegnativa?
Molto del lavoro consiste nel seguire le esigenze dedicate alla struttura. Ho voluto due diverse squadre di rigger, affidando a Luca Guidolin e a Tomas Morandi le due venue per quanto riguarda il progetto rigging e l’interfaccia con i rigger della produzione. Infatti gli inglesi hanno due rigger che coordinano due set di rigger completi – perché abbiamo fatto il pre-rigging a Bologna e il pre-rigging a Pesaro – dodici all’Unipol Arena e dieci qui nelle Marche. Per quanto riguarda lo show day, invece, loro non hanno grosse richieste.È una produzione con una cura artistica d’altissimo livello, ma non è un mostro che richiede quattro giorni di montaggio e 12 ore di smontaggio. È proprio pensata per poterla comodamente portare in giro.


Puoi darci qualche dettaglio di questa organizzazione?
È studiata per girare settanta palazzi dello sport in tutta Europa: in quattro ore è tutto montato e tutti vanno via, questo con 60 facchini al load-in, 80 all’out e cinque mulettisti, tutto qui. Usano pochissimi bauli, perché tutto è premontato all’interno dei dolly. È tutto molto ben studiato nei dettagli.
Se guardi bene il palco dall’esterno e la parte posteriore del semicerchio, ti rendi conto che la passerella è montata sopra i dolly: ci sono i dolly del video, i dolly del dimmer ecc, e tutto viaggia così. Per cui la struttura è estremamente veloce da smontare e montare dopo aver appeso i motori, che è la parte più lunga del lavoro.

Perché in Italia non si vedono spesso produzioni organizzate con questa concezione?
Qui c’è anche la possibilità di creare un progetto ammortizzabile sul lungo periodo. Ad esempio loro impiegano ben 16 bilici, perché è tutto dolly, soluzione che richiede molto più spazio rispetto ai bauli. Ma in effetti si risparmia molto tempo dopo. Nella realtà italiana, che può contare su budget differenti, questa sarebbe una produzione da nove bilici anziché sedici, non perché siamo più stupidi, ma perché abbiamo un altro tipo di realtà e un altro tipo di mercato.

Tom_Tunney_Lucien_Vincent_Perreux_Marc_MC_CarolanL’audio
A Marc “MC” Carolan, il fonico di sala, chiediamo innanzitutto della sua imponente regia.
“Abbiamo scelto il Midas XL4 – spiega Marc – semplicemente perché è sempre la console con il suono migliore. Poi abbiamo un Midas PRO2C come outrider che, per la musica rock e per le mie orecchie, è la console digitale con il suono migliore, ma essenzialmente la uso come un’estensione dell’XL4. Quello che abbiamo scoperto, che non mi ha proprio sorpreso ma è stato piacevole, è che la struttura di guadagno tra i due banchi è perfettamente equivalente”.

Il che è un grande complimento a quello piccolo, no?
Tu dici quello piccolo, ma questo ha gli stessi stadi d’ingresso dell’XL8 che, anche se per me non equivalgono a quelli dell’XL4, ci arrivano molto vicino. Ascoltando un canale di uno con un canale dell’altro non potrei distinguere, solo quando cominci a combinarli si può cominciare a capire qualche differenza, che però non è rilevante.

E come organizzi il lavoro con le due console?
Curo molto l’aspetto ergonomico delle console, cominciando dall’XL4. I canali che probabilmente non verranno ritoccati individualmente li sposto verso l’esterno e li riporto più all’interno in gruppi che hanno un senso. Per esempio, ovviamente i diversi canali della cassa e del rullante sono in fondo a sinistra, però poi faccio un premix di “cassa” e “rullo” totali che riporto su fader unici prima del resto della batteria. Faccio poi la stessa cosa con i piatti ecc., e li riporto su un singolo fader.


E come dividi i canali tra l’analogico e il digitale? Che ingressi hai?
Cominciando dall’XL4 a sinistra, abbiamo una batteria piuttosto standard. Non c’è niente fuori dall’ordinario. Sulla cassa ci sono un Beyer M88 e uno Shure Beta 91, il rullo ha un SM57 sopra e un Neumann KMS 105 sotto (una cosa un po’ insolita che faccio io). Sull’HiHat c’è un AKG C451, i tom sono ripresi dai Beta 98, poi sotto i piatti ci sono i Neumann KM 185. Ci sono vari C 414 per le percussioni.
Sul basso ci sono una DI ed un M88, e poi due canali di effetti, con due diversi livelli di distorsione. Chris (il bassita – ndr) passa da uno all’altro. Le chitarre sono essenzialmente un canale; ho un backup che uso solo ogni tanto per alcuni dettagli stereofonici. Poi c’è il piano.


E per le voci?
Io sono un utente Neumann da tanti anni. Sui vocali ci sono le capsule KK104 e 105 su radio Sennheiser. In passato ero molto reticente riguardo all’uso dei radiomicrofoni, ma ormai suonano molto molto bene e l’essere in grado di muoversi sul palco ha dato una nuova dimensione alla performance di Matthew. Abbiamo tre diversi radiomicrofoni che il cantante usa in diverse posizioni. Inoltre sulla voce ho un canale predisposto con un Avalon inserito, per una voce più tagliente. Su questo canale posso mettere uno qualsiasi dei tre microfoni. Un altro canale ha un SansAmp, che dà invece una voce totalmente distorta. Inoltre Matthew usa anche un Vocoder. Anche Chris, il bassista, ha diversi microfoni posti in diverse posizioni sul palco, ed anche il tastierista in tournée, Morgan, usa un vocoder. 


E sulla PRO2C cosa metti?
La PRO2C è dedicata più che altro agli ingressi ausiliari: il bassista suona ogni tanto un Keytar per fare il bass synth, poi le tastiere di Morgan... tutti gli elementi che hanno bisogno di un po’ più di automazione. 


Mi hanno detto che il PRO2C è praticamente pieno, però.
Effettivamente la console digitale fa molto più di quello che ho detto. Io sviluppo degli stem sull’XL4 che poi mando al PRO2C e ai quali posso aggiungere le cose dal PRO2C. Così posso rendere disponibili fino ad otto diversi stem mix stereo dal PRO2C. In una tournée mondiale che dura due anni, non si sa mai quello che potrebbe servire, e la possibilità di avere diversi stem mix per la TV, la radio, eccetera  è una cosa molto utile.
L’automazione è un’altra cosa importantissima. L’ho impostata in modo che l’XL4 condivide le scene con il PRO2C il quale gestisce tutto il recall MIDI per gli effetti. Faccio questo dal banco digitale semplicemente perché è più veloce programmare questa funzione sulla PRO2C che sull’XL4. Nelle canzoni in cui abbiamo qualcosa di pre-registrato (si tratta solo di effetti sonori, oppure di una nota pedale in sub bass) ho aggiunto una traccia MIDI per controllare il PRO2C. Poiché il PRO2 non gestisce timecode, ho dovuto inventarmi questo sistema per fargli seguire la canzone: ho usato eventi MIDI per farlo. Ci è voluta una quantità enorme di programmazione, perché sono circa venti pagine di recall programming. Il lavoro è stato molto, ma il risultato finale è che ha liberato molto spazio nella mia testa, perché con i Muse, le canzoni possono anche essere di nove o dieci scene che si ripetono. Inoltre, il modo in cui ho fatto tutto mi lascia libero di inserire ulteriori punti di automazione durante il tour, a qualsiasi punto in qualsiasi canzone, per fare qualcosa all’XL4, al PRO2C o a qualsiasi effetto. Ho messo molto impegno e studio per fare una programmazione che non dovesse rimanere fissa dall’inizio della tournée e che posso adattare nel corso dei prossimi due anni.


E gli effetti?
Per quanto riguarda gli effetti, uso un Bricasti M7 reverb e un Line6 Echo Pro Delay. Uso questi perché mi piace avere diversi sapori di delay per diverse canzoni. Poi c’è l’Eventide H3000 Vocal Doubler, che è un apparecchio datato, ma suona sempre benissimo. 


E il tuo collega al palco cosa usa?
Al palco sta usando un PRO9 con un po’ di outboard, per esempio a Matthew piace un GML sul suo mix. I ragazzi sul palco sono tosti, sono molto curati ed esigenti sul loro engineering. Adam (Taylor, monitor engineer – ndr) lavora con loro da 12 anni, come me. Ha un lavoro abbastanza difficile ma lo fa molto bene. 


Come ti trovi con questo PA?
Tom o Vinnie ti possono raccontare molto meglio dell’impianto. Si tratta principalmente di un d&b serie J, con la serie V per il retropalco e il center. I J‑sub sono appesi direttamente dietro gli array. Inoltre sotto il palco abbiamo un arco di J‑Sub e J‑Infra che possono essere terrificanti, nel senso buono. In precedenza avevamo usato gli Infra ad arco ed anche i J‑Sub ad arco, ma qui li abbiamo combinati per la prima volta. I sub per terra sono su un aux separato. Il sistema appeso è progettato per essere già un sistema completo ed indipendente full-range, così aggiungere e togliere i sub a terra dà veramente un’altra dimensione allo spettacolo”.

Purtroppo non siamo riusciti a parlare con MC dei suoi outboard... sarà per la prossima volta, anche perché, dall’aspetto dei cinque rack, non basterebbero le pagine di un intero numero di S&L. Ma dalle foto potete farvi una certa idea...

Il system engineer, Tom Tunney della Skan PA Hire (una faccia che abbiamo incontrato qualche anno fa nell’ultimo tour dei REM) ci spiega il massiccio impianto a 360°.
“Abbiamo un sistema d&b J, 16 casse per ogni main, 16 casse per i side e 12 casse per ogni array a 270°. Poi abbiamo la nuova serie V per i due array posteriori, otto teste e due sub ognuno. Ci sono sei J‑Sub per lato appesi dietro i main e i side. Poi, sotto il palco, abbiamo 10 J‑Infra ed otto J‑Sub disposti ad arco. C’è anche un piccolo array centrale davanti composto di quattro serie V.
“Il sistema è abbastanza semplice: i left e right e tutto quello che è sospeso è pilotato da una singola coppia L/R, e tutto quello per terra è pilotato da un singolo aux, perciò sono solo tre linee per tutto il sistema dalla regia, tutto quel che serve. Quello che arriva dalla console viene convertito in 96 k da un Rosetta e poi esce in Dante ad un Lake nel driverack, poi viene mandato in AES da lì al palco.
“Tutto l’allineamento temporale e l’equalizzazione vengono fatti col software d&b: non servono crossover o altro perché gli amplificatori sono tutti d&b con preset appositi che funzionano molto bene”.


Che software usate per tarare il sistema?
Usiamo Tuning Capture, un software sviluppato da 7dBMore, azienda creata da Dan Bävholm, uno dei fondatori di Lab.gruppen. Ovviamente il rapporto con Lake è molto stretto, tanto che hanno sviluppato un software per eseguire Live-Capture sul Lake, nello stesso modo in cui si può con Smaart o Analyser Bridge.


Come va la nuova serie V della d&b?
Abbiamo appena ricevuto dei nuovi preset per gli array della serie V che li rendono molto più bilanciati nel tono quando sono accoppiati con la serie J. L’elemento medio-alto della serie V è uguale a quello della J, perciò gli acuti sono quasi uguali. Manca forse un pochino nei medio-bassi, ma niente di notevole e va benissimo per la gittata più corta dietro il palco.


Quanti D12 ci vogliono per tutte queste d&b?
Abbiamo un amprack per lato, con 36 D12 ognuno con tutti i cablaggi sopra – che pesano 1,8 tonnellate. Poi sotto il palco abbiamo gli amprack più piccoli solo per i sub.
Ci hanno raccontato che siete molto veloci nell’in e nell’out. Come riuscite con tutto questo materiale?
Abbiamo sviluppato tutta la logistica del sistema durante l’ultimo tour di questo gruppo. Abbiamo detto alla produzione che se ci avessero dato più spazio sui camion, avremmo potuto montare e smontare il sistema in un’ora, e questo stiamo facendo. Le J infatti rimangono in blocchi di quattro ed escono subito.


Lo spettacolo visivo Oli Metcalf
Oli Metcalfe, il lighting/set/video designer, nonché operatore, ci spiega come nasce e com’è realizzato questo magnifico spettacolo.
“Mi è arrivata una comunicazione dalla band – dice Oli – in cui si parlava di una piramide come simbolo del potere. Così siamo arrivati a quest’idea della piramide con il video mappato sopra. Ovviamente qui l’abbiamo invertito... questo vuol dire che il sistema del potere si può sempre rivoltare sottosopra!


“La piramide può configurarsi in diversi modi – continua Oli –. Può muoversi verticalmente e, chiaramente, l’abbiamo mappata per il video secondo la forma che prende. È una struttura molto dinamica e molto flessibile con cui lavorare. Ci sono tanti pixel lassù, perciò è un ottimo modo per dare l’I‑Mag alla produzione e fornire una tela interessante per il mapping dei contenuti video.
“Questo è il secondo tour con il palco a 360°. L’ultima volta c’era qualche imperfezione con la visibilità dietro, ma questa volta è molto più coinvolgente anche da dietro. Un punto chiave nel memorandum per il design era l’integrazione di tutto. Siccome è un palco a 360°, non volevano niente intorno al fondo del palco, così tutto è stato integrato sotto. Il palco è molto decentrato, perciò quelli dietro vedono gli schermi della piramide ed il loro riflesso sul palco translucido, tanto che, vista dall’alto, sembra una doppia immagine”.


Come avete realizzato questa piramide?
La piramide è fatta da un grid customizzato sospeso molto in alto, le cui movimentazioni sono effettuate con il sistema Kinesys. Tutti i motori e le unità di elevazione sono incorporati nel grid: niente viene mai fuori da quello; viaggia anche così. La piramide è sospesa a quel grid ed è composta di truss quadrati con schermi LED tutt’intorno, circa 560 piastrelle di Links con passo da 12 mm. Inoltre, nascosti dentro i truss che formano la piramide, ci sono anche 60 MAC 101 che ricevono alimentazione e dati attraverso dei moschettoni, insieme ai segnali video.


Come adatti il mapping alle movimentazioni?
È tutto controllato dai Catalyst, pilotati a loro volta dal nuovo banco Hog 4. Prendiamo i dati sull’elevazione dei cinque assi della piramide, forniti dal sistema Kinesys tramite Multicast IP, e li mandiamo al Catalyst che li analizza e capisce com’è formata la piramide. Di conseguenza riesce a mappare ed adattare accuratamente il video agli schermi LED. Questa è una cosa che usiamo per adesso solo su qualche brano, ma mi piacerebbe usarla di più. 


È il primo Hog 4 che vediamo in giro... che me ne dici?
Io sono stato fortunato a poterlo provare in questo tour. Mi fa piacere dire che è molto bello, molto veloce e facile da usare.
Per il controllo del rig ci sono 14 universi DMX, tutto su Art-Net, e altri otto universi per i media server. Non abbiamo nessun cablaggio DMX prima di arrivare ai truss. Mandiamo tutto in HogNet dal FoH al palco su fibra e poi c’è Art-Net fuori dai DP8000 in una rete Luminex; seguono i nodi di distribuzione, uno sui truss in fondo ed uno davanti per la struttura a diamante, ed anche per terra, sul palco, c’è lo stesso sistema. Così, se guardi il rack, tutto è molto pulito, realizzato solo con EtherCon, mentre i cavi DMX sono molto corti e passano solo nei truss e sotto il palco.
Tutto è controllato dalla Hog 4, mentre c’è un’altra Hog per il gruppo di spalla che mi può anche fare da spare se ci fossero problemi. Ma non uso queste due console in tandem o in tracking, funzionano indipendentemente in reti separate, così, nel caso di un guasto e/o cambio di console, ci sarebbe semplicemente il cambio dell’Art-Net.


museCom’è composto il parco luci?
Il rig, da spento, non sembra molto impressionante, perché moltissimi dei proiettori sono nascosti, ma in funzione è imponente. Parliamo di 28 VL3500 Wash, 40 Martin MAC Viper Profile, 84 MAC Aura, 60 MAC 101, 14 Atomic e quattro RJ Flo. I truss sopra, a forma di diamante, sono gli HUD Truss (Tyler High-Performance Utility Design Truss – ndr). Tutte le luci viaggiano al loro interno:  le gambe con le ruote si attaccano sotto e servono poi come maniglie. Quando sono sospesi sono invertiti rispetto a quando vengono trasportati. Così tutti i MAC Viper ed i VL3500 Wash viaggiano premontati in questi. Poi, sulle barre esterne, anche queste customizzate, abbiamo gruppi di quattro MAC Aura e gli Atomic. Ci sono 28 spot e wash sul diamante e 56 MAC Aura.


Sto usando anche dei proiettori High End TechnoArc incassati nel palco, con la sola testa che esce. Li uso per formare una piramide di luce che si vede ad un certo punto dello spettacolo.
Un’altra cosa sono i quattro seguipersone Robert Juliat Flo appesi ai truss. Hanno un color changer montato davanti e sono controllati in DMX, perciò io controllo colore e intensità dal banco, mentre gli operatori devono solo puntarli. Questi hanno sorgenti MSR da 1800 W che gli danno una bellissima luce e un campo molto omogeneo.
Infine ci sono anche dei laser: sei teste controllate dall’Hog con un burst di timecode per aiutarci con la sincronizzazione. Mandiamo MIDI show control al sistema Pangolin: è un sistema separato che prende i feed dell’MSC che mando dall’Hog. 


I truss sono molto in alto. I MAC Aura sono efficaci come wash da quella distanza?
Diciamo che non mi devo preoccupare di questo: i truss sono a 13 metri da terra ma gli Aura sono molto potenti, e ce ne sono 84; ma non li ho scelti per quello. Non dimenticare che ci sono anche circa trenta VL3500 per i wash, così gli Aura li uso per lo più come effetti di potenza. Sono tanti, così gli effetti lineari sono molto efficaci. Li stiamo usando in tutte le funzioni, ed è molto bello vedere l’effetto Aura con nessuna luce che “esce” dal proiettore.


Cosa ci puoi dire del video?
Luci e video sono molto integrati, ma non solo sulla piramide. Anche il palco è circondato da una “ciotola” panoramica di schermi LED, come pure il fronte del palco e la pedana della batteria. Il tutto è mappato come una superficie unica sul Catalyst.
Sugli schermi, tra contenuti ed I‑Mag c’è un rapporto di circa 60% / 40% a favore dei contenuti. I contenuti sono stati creati un po’ dagli artisti del mio studio e un po’ commissionati ad altri.
A seguire la regia video live è Tom Kirk. Usiamo cinque telecamere con operatori e quattro camere telecomandate. Lui segue la regia costantemente e mi manda un feed del live, che passa ovviamente al Catalyst.
Tom è qui con me in regia FoH, anche se di solito la regia video si trova nel backstage. Almeno per la prima parte della tournée, penso che stia meglio al FoH, per poter prendere il “feel” dello spettacolo, cosa difficile da dietro il palco. Quando ripartiremo per gli USA, nella prossima tranche, probabilmente si sposterà dietro o sotto.


Come vengono sincronizzati i contenuti?
Usiamo TimeCode su quattro o cinque brani in cui mandiamo un burst all’inizio della canzone per sincronizzare i contenuti video; altrimenti lo show non ha un TC, non c’entra con il tipo di musica che fa questo gruppo.


Ci sono anche effetti in tempo reale sull’I‑Mag? muse
Sì, usiamo Quartz Composer per fare gli effetti video live ed anche MSP, ma quello è solo un patch che viene caricato dal Catalyst: tramite un applescript, il Catalyst dice ad un altro computer di caricare il patch MSP, poi il Catalyst prende un segnale SDI in ingresso e dà in uscita un segnale con l’effetto dell’MSP o Quartz.


Chi ha programmato lo spettacolo?
Io. Sono abbastanza conosciuto perchè faccio tutto da solo! Ho uno studio di design in cui realizziamo buona parte della preproduzione, la mappatura video e la programmazione in Capture Studio con un paio di proiettori e una console. Poi abbiamo avuto una settimana in una sala prove a Londra con l’intero sistema montato.
Lavoro con questo gruppo da 13 anni, perciò conosco molto bene il loro materiale e come gli piacciono le dinamiche. Per questo è abbastanza facile per me programmare lo spettacolo una volta che il materiale è definito, facilitato anche dalla Hog, con la sua infrastruttura e piattaforma creativa.


Quante persone ti assistono durante lo show?
Ho un assistente backstage che tiene d’occhio i Catalyst, mentre al FoH sono da solo. Preferisco lavorare in questo modo. Lavoro anche in modo molto “live”, seguendo lo spettacolo visivamente e lavorando in modo molto manuale sul banco.

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Amedeo GuizziIng. Amedeo Guizzi
“Usando la terminologia inglese diciamo che sono l’house engineer, anche se non sono collegato alla venue ma lavoro per la produzione italiana. Sono il tecnico qualificato che redige la relazione sulle meccaniche sospese e le attrezzature inglesi. Passo poi i miei dati all’ingegnere collaudatore delle venue, a Bologna e a Pesaro, che, basandosi sui dati che vengono forniti e sui suoi calcoli, va a collaudare la strutture. La commissione e il collaudatore apprendono i nostri dati per quanto riguarda la ‘famosa’ nota ministeriale sui carichi sospesi, per poter poi firmare l’agibilità dell’allestimento.
“Il mio compito è anche quello di seguire il montaggio. Quindi, una volta fatto tutto il lavoro sulla carta, sono presente sul cantiere per verificare che quello che abbiamo collaudato corrisponda a quello che abbiamo redatto. Tra l’altro c’è il vantaggio che, siccome è normale che ci siano delle modifiche in opera a seconda della tipologia di venue, aggiorniamo in tempo reale “all’ultimo montaggio” tutta la documentazione che consegniamo alla Commissione”.

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