Pooh – Reunion Palasport 2016

La Reunion dei Pooh, in occasione del 50o anniversario di carriera della band, ha riscosso un successo impressionante. 

a-IMG 0841di Douglas Cole

Il cinquantesimo anniversario della band storicamente più compatta nella musica popolare italiana ha visto non solo il ritorno di Stefano D’Orazio dopo cinque anni, ma anche quello di Riccardo Fogli dopo trentotto. Con Dodi Battaglia, Red Canzian e Roby Facchinetti, il gruppo è diventato per quest’occasione ciò che non era mai stato prima: un quintetto. 

Grazie all’enorme base di fan sulla quale possono sempre contare, ma anche ad un eccellente lavoro da parte dell’agenzia F&P Group, il successo di questa operazione è andato oltre tutte le aspettative. Concepita inizialmente come un evento unico, la Reunion è diventata una celebrazione che si è prolungata per la maggior parte del 2016, con trentatré concerti dagli stadi, all’Arena di Verona, ai palasport, per concludersi con un ultimo saluto a fine anno.

Abbiamo assistito alla data all’Adriatic Arena di Pesaro, dove alcuni degli addetti ai lavori ci hanno raccontato dell’esperienza e dei dettagli tecnici della produzione. 

Fenia GaltieriAssistente di produzione

Ci accoglie il direttore di produzione Giovanni Chinnici che, come sta quasi diventando prassi, preferisce che sia la sua collaboratrice Fenia Galtieri a rispondere alle nostre domande.

“Il progetto per il 50o anniversario – racconta Fenia – è iniziato con i concerti negli stadi. Inizialmente doveva essere un solo concerto a giugno a San Siro... poi raddoppiato; poi anche Roma e Messina, poi sono state aggiunte tre date all’Arena di Verona. La richiesta è rimasta così alta che abbiamo proseguito  con un tour nei palazzetti. Così, dopo le tre serate all’Arena – 8, 9 ed 11 settembre – abbiamo fatto una data il 13 alla Fiera di Bergamo. Poi, all’inizio di ottobre siamo rimasti fermi mentre facevano delle comparse in TV, per promuovere il nuovo cofanetto, il libro e queste ultime date della reunion. La band ha un’energia pazzesca perché, mentre noi saremo fermi, loro andranno in America per suonare a New York, Atlantic City e Montreal. Poi torneranno in Italia e suoneremo ad Acireale, Caserta, Torino, Milano, Roma, Treviso e la grande ultima data il 30 dicembre a Bologna. Dimenticavo: ogni concerto è già completamente sold-out.

“Il produttore esecutivo di questo tour è Mario Zappa – continua Fenia – mentre c’è stato un enorme lavoro da parte di Veronica Corno, per la comunicazione, relazione, promozione di tutto il progetto di quest’anno.

“Dagli stadi, la produzione è rimasta abbastanza simile, ovviamente adattata per i palazzetti, però con tutto quello che è il mondo dei Pooh: effetti, geyser, fiamme e, ovviamente, musica: due ore e cinquanta minuti di spettacolo senza sosta.

“Il disegno del palco di Igor Ronchese insieme a Zappa, la scenografia di Tekset, audio e luci di Agorà, video e movimentazioni di Event Management. Il disegno luci è stato affidato a Francesco De Cave, una novità, anche se nella parte degli stadi, per assicurare ‘l’impatto Pooh’, è stato consultato anche Fabi Crico, il loro designer storico. Quindi, c’è il profumo Pooh, ma con le innovazioni di Francesco.

“La squadra di produzione è composta dal direttore, Giovanni Chinnici, me e Andrea Sembiante come site coordinator. In estate c’era anche Daniele Paddeu come secondo site coordinator.

“Nelle date estive il PA era affidato a Giuseppe Porcelli, mentre per i palasport c’è Daniele Tramontani. Anche la squadra luci ha avuto qualche cambiamento.

“Tutto quello che sta sul palco è il ‘mondo Pooh’ – spiega Fenia – gestito da loro tecnici che li accompagnano da anni: fonico di palco Wolfgang May, Danilo Ballo, arrangiatore e tastierista, i backliner Michele Vanucchi, Giancarlo ‘Johnny’ Pozzi, Gaetano Simone e Carmelo Cuntrò, mentre il fonico di sala è Renato Cantele. Laura Fabbri si occupa dei loro camerini da 20 anni e li conosce molto bene: è essenziale, perché garantisce un ambiente di tranquillità nel backstage. La gestione degli artisti, le prove e la loro logistica vengono seguiti da Sebastiano Piccione, il loro referente e il legame tra il mondo Pooh e F&P.

“In tour siamo quasi una cinquantina, compreso lo staff artistico. Tutti viaggiano in macchina. Non avendo una tournée di data su data, non avrebbe senso avere degli sleeper. L’unico back-to-back vero è Bologna-Pesaro, ieri ed oggi. I trasporti sono di Antonio Celli. Giriamo con sei bilici, più il ferro che è di Massimo Stage, come pure il gruppo elettrogeno.

“C’è stata una grandissima pre-produzione – aggiunge Fenia – perché il calendario è molto impegnativo. Anche l’allestimento è impegnativo, così entriamo molto presto alla mattina. Dove possibile, chiediamo il pre-rigging, in modo di avere tutti i motori pronti per poter allestire il resto. Abbiamo un rolling stage, che ci permette di lavorare su due punti contemporaneamente. Quando possibile, facciamo anche dei premontaggi il giorno prima e, la mattina successiva, entra solo il backline. Chiamiamo sempre dei rigger locali, cinque... sei per alcune date. Poi, per il load out chiamiamo da 50 a 60 facchini locali; alla mattina un po’ meno, 46 stamattina. 

“Nonostante gli anni – conclude Fenia – i componenti della band hanno una carica impressionante e “mangiano la pasta in testa” a tanti fanciulli che ci sono in giro adesso. È veramente un privilegio lavorare con loro. Quest’ultima data a Bologna il 30 dicembre sarà uno show diverso con un allestimento diverso – un ultimo grande regalo che fanno ai fan. È stato un anno davvero molto soddisfacente, questo”. 

Sebastiano Piccione – Tour manager per i Pooh

“Questo è un lavoro portato avanti da quasi due anni – ci dice Sebastiano – insieme ad Orazio Caratozzolo e Mario Zappa. Abbiamo condiviso tutte le scelte con F&P, dalla scelta della scena con De Cave e Ronchese. Poi ci sono stati mesi di prove perché, mentre preparavamo lo show, abbiamo anche partecipato ad alcuni programmi televisivi: San Remo come ospiti su RAI Uno, poi Che Tempo che Fa, tutte con prove dedicate. Con loro, tutto è deve essere perfetto e calcolato al millesimo.

“Pooh è una macchina da guerra. Se diciamo le 18:30, loro sono pronti alle 18:00. Parecchi artisti più giovani avrebbero tanto da imparare da loro. A livello tecnico sono preparatissimi. Tra loro hanno sempre suddiviso i compiti, quando erano in quattro ed anche oggi: Stefano è quello più preparato in materia tecnica per quanto riguarda lo show live. Roby pensa a canzoni ed arrangiamenti, Dodi si dedica all’aspetto autorale, mentre Red lavora alle idee sulla scenografia, immagine e grafica. Io lavoro con loro da dieci anni e, nell’organizzazione dei Pooh, la mia figura è un’invenzione di Stefano.

“In questo tour mi occupo, prima di tutto, della loro logistica, cosa non semplice. I cinque Pooh sono cinque artisti e ognuno ha le proprie esigenze. Mi occupo degli alberghi, dei loro movimenti, appuntamenti insieme o separatamente. Alla venue, c’è Alex De Benedictis che lavora con me come assistente agli artisti. Gestisce il pranzo, la cena, i camerini, una parte degli accrediti, mentre io mi occupo del palco, la tecnica, il backline. Sono anche la loro interfaccia con la produzione e, durante lo show, gestisco i cambi di palco. Dopo lo show, coordino la band, i loro ospiti e la sicurezza.

“Una chicca bellissima – racconta Sebastiano –:  prima delle date a San Siro, avevano due giorni di prova nello stadio. Quando sono arrivati Red e Roby al pomeriggio, con l’allestimento già pronto, anziché da dietro li ho fatti entrare volutamente da davanti, così per trovarsi davanti quell’enorme palco di San Siro, dove non avevano mai suonato. Vedere le loro facce e vedere Roby e Red abbracciarsi proprio in lacrime, come se non lo meritassero, è stata una grandissima soddisfazione e fa dimenticare tutti gli sforzi, la stanchezza e il lavoro infinito.

“L’ultimo show del 30 dicembre – conclude Sebastiano – sarà difficile a livello emozionale. Teoricamente questo è l’ultimo saluto; sicuramente avranno altri progetti in testa individualmente... poi si vedrà”. 

Francesco De CaveLighting designer

“Lavorare con i Pooh  – commenta Francesco – è per me un punto di arrivo. Ho sempre sperato nella mia testa di poter realizzare per loro uno show. Ho collaborato con Ronchese e Zappa, l’ideatore di tutto. Igor ha messo moltissimo sulla parte scenografica, mentre io ho curato maggiormente la regia, i contributi video e lo show visivo, chiaramente sempre in collaborazione con Mario ed Igor. 

“Ho programmato lo show interamente a casa, per me una cosa nuova, con Capture, Whole Hog e Catalyst. Infatti l’allestimento di prova a Livorno, di 4/5 giorni, è stato fatto senza luci, solo con le americane e le fruste. Sono stati portati solo gli effetti, perché i geyser, le fiamme andavano messi a tempo e bisognava vederne il funzionamento. Quindi siamo arrivati a San Siro; in tre giorni ho fatto i focus, ho definito i diaframmi, un po’ di accensioni e lo show era pronto.

“È stata una grande soddisfazione per me – racconta Francesco – quando ho presentato il progetto e il filmato di Capture, con i contributi video e le scene, mi hanno detto che non sembrava possibile un loro show così, che sembrava uno show degli U2 o dei Pink Floyd. Ho risposto che erano loro i Pink Floyd italiani, che erano stati loro i precursori dello show con i laser e con gli effetti. Loro sono così: creano la musica per poterci fare un effetto. Per me è stata un’esperienza bellissima”. 

Luca Modesti – Operatore luci

“Francesco ha fatto tutta la programmazione offline, a casa – racconta Luca – e a San Siro abbiamo avuto solo due notti per verificare se tornavano 50 brani! A fine estate, abbiamo ripreso in mano lo show per ridurlo per i palazzetti. Occorreva incorporare dentro questo spettacolo pezzetti di ogni tour della loro carriera. Chi li segue da 50 anni trova dei punti cardinali; chi è nuovo, invece, trova uno spettacolo completo che ha fiamme, CO2, laser, movimentazioni... tutto.

“Certi elementi sono stati per loro fondamentali: le luci nei gradini sul palco ed il cerchio con le movimentazioni, che hanno molta importanza nello spettacolo. Le cornici metallizzate movimentate nello spettacolo degli stadi, nei palazzetti avrebbero comportato troppi motori e non erano gestibili in termini di tempo di montaggio.

“Il parco luci – continua Luca – è abbastanza semplice: principalmente beam, spot e wash. Tutti gli spot sono EVO DTS, disposti sulle truss diagonali alte e su tutte le scalette dietro. Fanno una grande luce nonostante siano proiettori poco invasivi. I beam sono una cinquantina di BumbleBee Lightsky. Questi hanno anche preso acqua e devo dire che il giorno dopo si sono riaccesi. Negli stadi c’erano dei wash Clay Paky, ma nelle arene siamo andati con i Robe LEDWash 1200. Per gli strobo e punti luce ci sono gli SGM Q7 ovunque, e blinder, oltre a due universi di Sunstrip – 98 barre – che fanno tutta la mappatura sulle scale. Il fondale è uno Starcloth classico.

“I frontali vengono dai followspot della sala, con degli ulteriori EVO che fanno lo spot dalle americane, perché gli artisti in scena sono cinque, mentre i segui in sala sono quattro.

“Gli effetti sono i classici cannoni CO2 Magic FX e la macchina delle fiamme. Abbiamo solo due di questi ultimi – negli stadi ne avevamo dieci – ma ad ogni data ci sono delle problematiche con le normative locali.

“È il primo loro spettacolo che utilizza il timecode – ci dice Luca – ed è stato un po’ difficile fare la sincronia, perché non erano abituati. Comunque, non ho il conto esatto ma saranno tra 1500 o 2000 cue. Ci sono anche tante cue di strobo, acceccatori e stacchi fatti in manuale – se contiamo anche queste saranno più di 10.000 cue. Tutto lo spettacolo è gestito da High End Hog 4: due console in sala, main e spare, ed i processori al palco. Noi gestiamo solo le luci, mentre per il video ci sono altri due banchi autonomi. 

“La sezione ritmica della band – conclude Luca – è anche la sezione artistica, anche se tutti cinque percepiscono tutto quello che succede durante lo show. Non è raro che uno di loro ci venga a dire che, ad esempio, un PAR LED ha fatto un giallo anziché un bianco nel terzo brano. Ci sono state molte più indicazioni nella tranche nelle arene. Su certe canzoni storiche, tipo Parsifal, hanno avuto delle richieste molto specifiche. Sicuramente non c’era bisogno di sconvolgere qualcosa che funziona da 40 anni!”.

Andres CornejoEvent Management  

“Event Management – spiega Andres – si occupa di tutta la parte LED, dei Catalyst, delle movimentazioni e, nelle venue più grandi, anche degli schermi laterali con due o tre telecamere per il live. 

“Nei palazzetti stiamo usando degli schermi GLux con passo 10 mm. Questi viaggiano in dolly, in blocchi da 2 m. I player sono dei server Catalyst, con due uscite 1920 x 1200, una dedicata agli schermi centrali ed una dedicata ai side, quando presenti. 

“I quattro schermi in fondo sono alti otto metri, così 3 m x 8 m ogni colonna, più i pod, che si estendono alti tre metri.

“Per le movimentazioni ci sono quattro motori Kinesys Liftket da 500 kg. I movimenti sono solo su e giù, un singolo anello... molto più semplice rispetto alla versione estiva”.

Danilo Ballo – Regia musicale

“Io – spiega Danilo – gestisco i suoni delle tastiere, i suoni della batteria, più i playback aggiuntivi, cioè le tracce di scorta e il click. Mando anche il timecode per luci, effetti e video. Ho una buona visibilità del palco per poter capire, ad esempio, se si deve ritardare la partenza di un brano per un problema oppure se un applauso è più lungo del solito.

“Abbiamo dei computer portatili Mac in regia di palco che distribuiscono i vari suoni: della batteria mi arrivano i segnali dai trigger, che converto in suoni definitivi che distribuisco alla console di palco e alla console FoH. Idem per le tastiere: arrivano i segnali dalle tastiere, alcuni audio ed alcuni MIDI. È tutto gestito in Logic. All’interno di questo computer ci sono svariati labirinti informatici che forniscono infine i suoni su quattro uscite stereo, che mando alle due console. Ci sono un portatile per le batterie ed uno per le tastiere, oltre due portatili che sono sincronizzati, ma non via timecode, per evitare che si potesse fermare sia il master sia lo slave. Io devo avere una scorta, quindi li faccio partire insieme da un pedale. Se, per qualsiasi motivo – mai successo – si dovesse sganciare l’audio di una macchina, ho sempre l’altra. Ho degli switch per poter commutare da uno all’altro. È così anche sulla batteria e anche sulle tastiere, nel senso che, se si dovesse rompere una tastiera mentre sta suonando, ho delle tracce di backup che posso commutare con uno switch.

“Abbiamo delle schede MADI-USB per le tracce di backup, mentre il computer delle sequenze manda anche dei cambi di programma per le tastiere e cambi di set della batteria tramite quattro interfacce MIDI”. 

Renato Cantele – Fonico FoH

“Abbiamo organizzato un nodo sul palco – spiega Renato – per la gestione dei suoni e delle tracce. La batteria è gestita con dei trigger, perciò mi arrivano dei campioni molto belli che abbiamo scelto brano per brano insieme a Stefano e Danilo. Poi ci sono i canali della parte sinfonica, dove Stefano usa dei timpani ed altri strumenti orchestrali. I piatti chiaramente sono doppi perché il set sinfonico ha delle cose completamente diverse – gong, eccetera.

“Per il basso, invece, Red cambia strumento secondo il brano, dal contrabbasso elettrico in alcuni brani storici a diversi altri bassi.

“Roby – continua Renato – ha integrato delle cose nuove per quanto riguarda le tastiere, perché ci sono tanti brani storici in questo concerto e riproponiamo delle simulazioni dei suoni anni ‘80. Le tastiere sono gestite da Logic, alcuni suoni reali degli strumenti ed alcuni suoni virtuali che escono dal computer. Questi sono otto ingressi.

“Per quanto riguarda law chitarra, i suoni sono gestiti nella stessa maniera delle tastiere... sono tutti delle simulazioni. C’è stata una grande ricerca per quanto riguarda i suoni. Sulle chitarre elettriche ho due diversi microfoni (nelle simulazioni) su cui poi ho effetti separati. Per le sonorità della chitarra acustica, però, faccio un po’ tutto io qui al FoH. Chiaramente, tutti questi suoni li splitto su diversi canali all’interno della console per poterli gestire e trattare diversamente in diversi brani.

“Per la voce – dice Renato – ho scelto insieme a Wolf (May – fonico di Palco – ndr) lo Shure KSM9 via radio: dal ricevitore va nello splitter analogico, poi al convertitore e viene mandato qui nello stream MADI. Nel banco, uso un plug-in equalizzatore, un compressore e poi un de-esser subito in insert. Mi consente di fare dei ritocchi sui vari brani sull’EQ e sui controlli di dinamica del banco e salvarli come snapshot. Quindi, se arriviamo in un ambiente nel quale risuonano i bassi, lo metto a posto nei plug-in, in maniera da ricostruire il suono, e poi uso le memorie. Così non devo ritoccare tutte le snapshot del banco”.

La regia sembra cambiata poco dall’ultima volta che ci siamo visti.

La D-Show ha sempre funzionato e preferisco aspettare che le nuove console Venue vengano un po’ perfezionate prima di cambiare idea. L’unico outboard che uso sono dei Sabine FBX2020+ per controllare il feedback su alcuni canali, in particolare quando Stefano viene avanti sul palco con un microfono headset per cantare ed è sempre al limite. 

Il clock esterno per tutto è un Apogee Big Ben. Poi ho un’interfaccia timecode MOTU collegata al banco, perché tutto lo spettacolo è in timecode e ci sono dei brani che vengono richiamati proprio da timecode. 

Hai una scelta particolare fra i plug-in che stai usando? 

A parte Waves, che uso dalla primissima versione, in genere uso il bundle live di DigiDesign, con ReVibe e Reverb One per i reverb. Avrei anche la possibilità di inserire altre cose, ma preferisco non far lavorare troppo i processori. La console è quasi vintage, adesso, e anche il computer che ho dietro è un vecchio G4.

Cosa mandi in uscita al PA?

Un semplice L/R. Quando abbiamo fatto San Siro abbiamo fatto diversi tentativi di mandare un secondo master con le voci. Alla fine non l’abbiamo usato perché non era necessario: già il mix che faccio tende ad avere le voci molto avanti. Per quanto riguarda il controllo dell’impianto, mi fido cecamente di Daniele: ci conosciamo da tantissimi anni, è stato proprio Daniele a portarmi a Carimate il primo S900 Akai, quando eravamo molto più giovani.

Daniele Tramontani – PA engineer

“Il sistema è tradizionalissimo – spiega Daniele – 15 V-DOSC più tre dV-DOSC frontali, otto V-DOSC più sei dV-DOSC per i side. Pesaro ha le gradinate molto alte, così qui abbiamo fatto una piccola variazione, aumentando i side a 10 V-DOSC e riducendo i frontali a 13 V-DOSC. Ad un certo punto, la richiesta per biglietti era così elevata che hanno messo in prevendita anche i posti ai lati del palco. Per questo abbiamo aggiunto dei cluster di otto K2 per lato, come extra side. I frontfill sono dei dV-DOSC, ma abbiamo un assetto che può cambiare di volta in volta: abbiamo due ARCS da mettere ai lati quando non ce la facciamo a piegare il main sotto. Nei palazzetti di Bologna, Milano e Torino, vengono aggiunti dei delay. 

“Abbiamo 24 SB28 frontali, configurati in funzione di ogni location. La cosa interessante è il modo in cui sono fatti gli archi elettronici... più schiacciati e più lunghi per i palazzetti come Bologna, oppure molto più larghi per le venue come Roma o Eboli che sono quasi un semicerchio. Siamo riusciti in ogni venue ad avere una copertura di basse frequenze quasi perfetta rispetto alla forma della sala, senza le classiche cancellazioni o riflessi eccessivi. Stiamo ottenendo dei risultati che non ci aspettavamo neanche noi.

“Qui a Pesaro, ogni 70 cm c’è una coppia di sub. Partendo dal centro, c’è un blocco di quattro con un sub girato, un altro blocco di quattro con uno girato, poi un blocco con due impilati dritti e gli ultimi due esterni appoggiati in verticale in end-fire verso l’esterno. Quest’ultima coppia non serve per dare pressione all’esterno, ma per completare un anello a 270° dove non arriva l’angolo dell’arco elettronico. La configurazione di questi sub esterni è stata stabilita quando hanno deciso di aprire i posti a sedere ai fianchi del palco. 

“Ovviamente – conclude Daniele – sto usando il mio setup standard, con Galileo e SIM. Ancora non mi sono convertito al Lake perché, per quanto sia buono come macchina, nella configurazione non è veloce come Galileo. Per adesso la mia macchina preferita è questa... in attesa forse della nuova macchina Meyer, Galaxy, che dovrebbe essere quasi identica a questa ma con l’uscita di rete AVB.

Lo show

Un concerto dei Pooh è sempre un evento che si svolge musicalmente e tecnicamente ad orologeria. Questa volta, con l’aggiunta de “l’orologeria digitale”, è ancora più studiato alla perfezione. Invece di appoggiarsi molto sui videoclip didascalici, come nella tournée del 2011 (considerando come concetto a parte la tournée semi-orchestrale del 2012/13), questa produzione torna in chiave di vero e proprio rock show... davvero il giusto spirito per una celebrazione della carriera di questo gruppo. De Cave, Ronchese e Zappa hanno capito perfettamente quello che serviva. Anche se punteggiato da momenti di nostalgia e ammiccamenti ai fan di lunga data, la band non perde mai lo slancio e gli effetti scenografici e le luci le stanno dietro, aggiungendo gusto ed energia a cinquanta brani e quasi tre ore di spettacolo. 

Il suono è impeccabile... forse anche troppo trasparente, nel senso che, a dire la verità assoluta e con massimo rispetto, nessuno li avrebbe biasimati se, per compensare gli anni, avessero abbassato la tonalità su qualche brano per evitare certi sforzi.

Possiamo attestare che l’esaustivo lavoro di Tramontani con la copertura delle basse è stato ben ripagato dai risultati. Avendo girato un po’ in tutta l’arena, il bilanciamento e la chiarezza nel secondo e nel terzo anello, anche molto ai lati, sono stati paragonabili con il risultato in regia FoH.

Ottimo lavoro. 

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