Verdena – Endkadenz Tour

Tenendo alta la bandiera del rock italiano, il gruppo bergamasco ha pubblicato all’inizio di quest’anno il sesto disco di inediti, Endkadenz Vol. I. Si è poi imbarcato in una tournée ad impatto massimizzato per promuovere il disco, facendo sold-out in otto date su nove, suonando nella maggior parte delle venue italiane di capienza adatta... dodici giorni da Milano a Catania. Dopo due settimane di recupero, il gruppo è poi ripartito per una seconda tranche di 14 date in un mese nelle venue più piccole… e diverse date estive sono già in calendario.

di Douglas Cole

Quando ho visto che la prima tranche di questa tournée dei Verdena si concludeva con una data all’Estragon, a Bologna, ho deciso che era l’opportunità giusta per soddisfare una certa curiosità su questa band. A 15 anni abbondanti dal loro disco d’esordio, i Verdena possono contare su un seguito fedele e sono, inoltre, molto stimati da diverse persone con opinioni a mio parere condivisibili – e aggiornate – sul rock-n-roll, tra le quali il lighting designer Jò Campana, che lavora con il gruppo da anni. Quando, poi, abbiamo letto in redazione che in tournée insieme ai Verdena c’era il gruppo di psichedelia par excellence, Jennifer Gentle, questa serata al Parco Nord è entrata nella mia lista personale di impegni immancabili: una band che conosco da tempo ma che non ero ancora riuscito a sentire dal vivo, ed una band entusiasticamente raccomandata ma ancora da scoprire.
Arriviamo alla Venue nel tardo pomeriggio, al suono del soundcheck, e già la serata si annuncia promettente.

La produzione

Ci accoglie il tour manager Roberto Busetto che, insieme alla responsabile della pre-produzione Romina Amidei, ci dà un po’ di informazioni sull’organizzazione e sulla gestione della tournée.
“Il tour – ci spiega Romina – è prodotto da DNA Concerti, nelle persone di Pietro Fuccio e Nicola Romani che hanno anche curato il calendario. Ad essere precisi le date non vengono vendute, ma co-prodotte insieme ai promoter locali.
“Questa prima tranche – continua Romina – è stata di nove date in venue con una capienza alta, con una media di 1500 persone. Qui a Bologna abbiamo 1800 persone sold out, all’Alcatraz abbiamo registrato 2800 persone... otto sold-out su nove date, quindi direi che è andata molto bene. È stato davvero un successo.
“Il calendario è stato molto intenso, con nove date in dodici giorni da Milano alla Sicilia, in pratica tutti back-to-back tranne Firenze-Bari e Catania-Napoli.
“Si tratta di una mezza produzione: richiediamo sul posto il main PA e la corrente e noi portiamo al seguito i banchi, il backline ed alcune luci, oltre ad uno schermo e ad un videoproiettore per il video; i Verdena hanno sempre privilegiato l’audio nei concerti, ma quest’anno hanno voluto aggiungere le proiezioni”.

In quanti siete in tournée?
Fra band e supporto – risponde Romina – siamo 22 persone in tour, con uno staff tecnico di una decina di persone. L’operatore luci, Martino Cerati, ha sostituito il lighting designer Jò Campana dopo le prime quattro date, ma aveva partecipato alle prove, quindi sapeva bene quale fosse il lavoro da fare e si è integrato benissimo. Lui lavora direttamente per la produzione, come il backliner ed il fonico, scelti direttamente dalla band, il resto del personale è fornito dal service Big Talu.

Aggiunge Roberto: “Giriamo con i due furgoni del service con due tecnici per furgone, poi un pulmino nove-posti per tour manager, merchandising, operatore luci, backliner, fonico di sala, ed un altro mezzo per gli artisti che si muovono su autovetture in autonomia. C’è poi anche il mezzo del gruppo spalla, i Jennifer Gentle, che si muovono da soli. La scelta di questo gruppo è dovuta all’amicizia con i Verdena, con cui collaborano spesso: non sono un gruppo di supporto normale, perché sono molto rinomati, specialmente all’estero, tanto che sono l’unico gruppo italiano ad aver firmato per la SubPop di Seattle”.

Quali sono le difficoltà in Italia per un tour del genere?
Soprattutto – risponde Roberto – la differenza fra le venue: cinque o sei locali, come l’Atlantico, l’OBIHall a Firenze e lo stesso Estragon a Bologna sanno cosa si va a fare. Altri non hanno le capacità tecniche per gestire un concerto di una certa dimensione; sono, più che altro, discoteche che ospitano piccoli concerti o techno, perciò non c’è potenza elettrica, manca una adeguata struttura live con americane mobili, i palchi sono piccoli e con altezze scarse, così come manca lo spazio per la produzione. Quindi bisogna sempre adattarsi alle venue, mentre all’estero ci sono circuiti di locali adeguati e molto simili fra loro. A Catania abbiamo ad esempio dovuto affittare un generatore perché non c’era sufficiente potenza elettrica, comunque un costo aggiuntivo per il locale.

Quanto è impegnativo l’allestimento?
In tre ore montiamo audio e luci, in due ore il backline; entriamo alle due ed alle sette tutto è pronto, usando quattro facchini in loco.

Dove avete fatto le prove con la produzione?
Abbiamo fatto due giorni di prove al CAP10100, un nuovo locale di Torino molto adatto alle nostre dimensioni ed in cui andremo a suonare nel prossimo giro.

La prossima tranche è in versione ancora più snella, no?
Ricominceremo il 27 marzo, fino al 27 aprile, in venue molto più piccole, anche locali da 400/500 persone, perché la band vuole suonare ed essere vicina al pubblico: per ragioni di spazio non ci saranno proiezioni, né gruppo spalla, e le luci al seguito saranno molte di meno. Continueremo, invece, a portare la mezza produzione audio, anche se con un mixer di sala più piccolo. Il giro sarà di una quindicina di date, in tutta Italia, ma con più day off… diciamo un ritmo più da giro dei fine settimana italiano.

David Lenci – Sound engineer

“È il mio primo tour con i Verdena,” racconta David. “Il contatto è avvenuto tramite Giulio Favero, del Teatro degli Orrori: sono andato a Bergamo, ho conosciuto il gruppo ed abbiamo capito che potevamo lavorare bene insieme. Così sono entrato nel mondo Verdena ed abbiamo fatto le prove a Torino. È un tour di promozione del nuovo disco, quindi i suoni sono tarati più sui pezzi nuovi che sui vecchi. Io cerco sempre di rispettare il suono e la storia della band, anche se considero la componente artistica del mio lavoro.
“Per il tour – continua David – in base alla channel list finale, abbiamo scelto questo grosso mixer analogico, Soundcraft Series Five: pensavamo di starci con tutti i canali, compresi quelli del gruppo spalla, ma poi abbiamo dovuto aggiungere un altro mixer digitale per i Jennifer Gentle. Io ho sempre lavorato in analogico, anche in studio, quindi la scelta del mixer analogico è stata mia, anche perché così ho tutto sottomano e dal vivo la velocità di intervento è fondamentale.
“Sul palco ho quattro persone, perché ai tre musicisti dei Verdena si aggiunge un turnista. La band usa una batteria Ludwig con cassa da 26”, il batterista è bravo e costante, ed ha anche una drum machine; il basso usa un Ampeg Micro Amp, mentre le chitarre sono sia con ampli che con le dirette; a questi si aggiungono le tastiere con tutti i suoni stereo, per una quarantina di canali totali. Io uso uno Yamaha SPX990 per il reverse gate ed altre cosine, un delay per le chitarre e un SansAmp per il basso. Come outboard ho dei dbx 166XL, con attacco e rilascio, dei dbx 160 e un Drawmer DL251 stereo: è quasi tutto compresso, tranne le chitarre e una tastiera”.
“Uso i PA dei locali, molto vari: qui ho un Martin W8 – ottimo – ma che ho dovuto scavare intorno ai 3000 Hz; infatti quando arrivo faccio sempre un’equalizzazione di quello che trovo per avere un riferimento più o meno costante tra una data e l’altra”.

La cassa da 26 pollici: molta cassa per poco palco, no?
Una piccola caratteristica è l’uso di un microfono sul battente della cassa, oltre a quello dietro, quindi due AKG D112, per la punta e per la pancia; per evitare il rientro della retina, molto forte, uso un compressore comandato dal rullante, così quando suona il rullante il compressore agisce tantissimo, praticamente chiudendo il microfono del battente: fortunatamente i colpi di cassa e rullante insieme non sono frequenti. Il palco genera tanto suono, ma non mi crea grossi problemi, ci sono abituato.

Per la voce, invece?
Il cantante usa un vecchio microfono dinamico EV, un RE16, poi il segnale passa da un TC Helicon con effetti direttamente gestiti da lui, e a me arriva il suono già effettato, ma il disco l’ha prodotto lo stesso artista, quindi mi fornisce già un buon suono e non mi crea problemi.

Ci sono delle sequenze o è tutto alla vecchia?
Non ci sono sequenze, ma dei loop mandati in diretta dal palco, senza click, è tutto molto easy; anche loro hanno registrato tutto il nuovo disco su un 24 piste analogico, e questa mentalità mi trova d’accordo.

“Il sound fra i pezzi nuovi e vecchi è abbastanza regolare – aggiunge David – ma Verdena è un gruppo che va molto seguito nel mixaggio, a volte occorre ammorbidire il suono o fare esplodere le chitarre al punto giusto… a parte il rullante, si tratta di micro movimenti, ma anche un solo dB all’interno del mix può significare molto.
“Il pubblico è molto partecipe – conclude David – canta sempre e mi va anche sopra la voce del cantante, ma questo mi piace perché aggiunge mood alla serata”.

Big Talu – Il service

Il service piemontese Big Talu fornisce tutto il materiale audio, luci e video oltre ai mezzi per il trasporto e quattro tecnici.
Talu stesso, Guido Costamagna, ci spiega un po’ della dotazione tecnica: “Ci sono quattro persone in tour: io, Alessandro Filipazzi, Michele Martinella come fonico di palco e Nicola Costamagna, operatore video. La mezza produzione è gestita con due furgoni, un 75-quintali ed un 35-quintali, il secondo dedicato al backline.
“L’impianto PA è preso sempre sul posto – continua Guido – ma noi, oltre al monitoraggio di palco e ai banchi, abbiamo al seguito anche sei teste mobili spot Robe, sei Robin 100 LEDBeam, sempre Robe, quattro strobo Martin Atomic e una console Chamsys per il video, oltre al video proiettore da 16.000 ANSI lumen noleggiato da Videorent.
“Ovviamente la console analogica, oltre ad essere ingombrante, pesa circa 350 chili e, aggiungendo il resto, ci servono quattro facchini sul posto”.

Il monitoraggio ce lo illustra il fonico di palco Michele Martinelli: “Nel 2011 usavamo come wedge monitor gli Outline 15” attivi, ma per questa nuova tournée il gruppo ha chiesto un sound meno hi-fi e più grezzo. Così, dopo varie prove, abbiamo scelto questi monitor autocostruiti nel 2002 da Guido che montano un 15” più una tromba da 2”, amplificati con dei Lab.gruppen 2000. Ogni 2000 watt pilota una coppia di monitor, in tutto abbiamo quattro coppie stereo. Hanno un suono molto grezzo ed aggressivo che ai Verdena piace molto. Ne abbiamo otto sul palco, oltre ad un sistema Yorkville con un doppio 18” per il batterista.
“Sul palco – continua Michele – la console è una Venue SC48, più adatta alle dimensioni del palco della console analogica. Ho quattro linee perché, oltre ai tre Verdena, c’è un turnista molto bravo che suona con loro: è un lavoro che dà molta soddisfazione perché loro sono dei cultori del suono, quindi occorrono cura e precisione, ma il risultato è molto gratificante. Le dinamiche sono tutte interne al banco.
“Col fonico ci siamo trovati molto bene. È molto bravo e già dalle prove si capiva che sarebbe stato facile lavorare con lui: la data zero a Torino, in un locale davvero piccolo, è andata molto bene, e questo ci ha rassicurato: negli altri locali sarebbe andata sicuramente ancora meglio”.

Lo show

Per quanto riguarda l’esecuzione tecnica dello show, possiamo solo fare i complimenti a tutte le persone coinvolte. L’audio è stato potente ed intelligibile, senza far sanguinare i timpani a nessuno, in particolare nella zona centrale del pubblico. Questo è già un risultato che supera quello di diversi gruppi blasonati e stranieri che ho visto all’Estragon nel passato.
A livello visivo, il concerto è già di gran lunga più di quanto ci si aspetti con un biglietto così abbordabile. L’illuminazione dipende per lo più dai proiettori floor; queste sono ovviamente le sicurezze in questo tipo di situazione: il parco luci che si trova in altezza varia infatti da posto a posto e deve essere integrato in un paio di ore. Tutto questo controluce e la mancanza delle forti key, certo, non rendono facile la fotografia – ma quello è un mio problema, non il loro – ma si adatta perfettamente al contenuto musicale e all’immagine della band. I contributi video prodotti o scelti dai Verdena aggiungono effetti visivi interessanti e, giustamente, rimangono un po’ sul dadaismo (che sembra anche riflettere appropriatamente i testi della band, adesso che ne ho letto qualcuno). Nel contesto dell’Estragon, la potenza del proiettore è stata appena sufficiente sul fondale non-bianco, ma non penso che le distanze di proiezione in questo tour siano mai state molto più lunghe. Comunque, ancora una volta, Jò ha dimostrato di essere un maestro anche quando i materiali sono minimi. In uno show di queste dimensioni, un designer e un operatore luci che conoscono il materiale trasformano completamente la percezione dello show.
Vorrei poter scrivere molto anche sul gruppo “di spalla” Jennifer Gentle, ma ci vorrebbe spazio che qui non abbiamo. Il loro set mi ha confermato la stima e mi ha rincuorato confermandomi che ci sono ancora musicisti che hanno il fegato di andare oltre con stile (e con un’innegabile maestria) e, grazie al cielo, ci sono ancora persone disposte ad ascoltarli. Io mi sono divertito da matti ma il nostro caporedattore (che ha origini e gusti musicali un po’ diversi dai miei), ad un certo punto, si è dovuto ritirare a stendersi nella sua Phedra.

Spendiamo due parole sulla musica?
Prima di approfondire ricerche o ascolti (ma mai in sostituzione di quelle), ammetto di essere spesso colpevole della leggerezza moderna che è la consultazione di Wikipedia. Perciò, qualche ora prima di partire per il concerto di questa band – a me precedentemente sconosciuta, ma spesso consigliata – ho aperto le pagine di Wikipedia in italiano e in inglese per trarne, almeno, qualche informazione di base. In alto a destra, sotto a qualche foto Wikicommons, come del resto sulla pagina di più o meno ogni band della Terra, ho trovato quella che dovrebbe essere una descrizione del genere musicale: il primo termine, quello che apre una serie di altri termini inventati dalla più disperata stampa musicale, definisce la musica dei Verdena come “Alternative Rock”.
In uno dei suoi brani più inflazionati, Neil Young disse “Hey, hey; my, my; Rock and roll will never die...” e continuano a volergli dare ragione quelli tra noi che cercano di far combaciare il rock-n-roll con l’accompagnare i bambini a scuola presto alla mattina e con il fischio residuo che rimane nelle orecchie per più giorni di prima. Un altro verso dello stesso brano di Young ha segnato l’evento che – come Altamont ha segnato la triste fine del flower power – ha annunciato la fine del grunge: citando anche lui Out of the Blue nella sua lettera d’addio, Kurt Cobain scrisse “It’s better to burn out than to fade away” (“è meglio estinguersi consumato in un fuoco lampo che scomparire lentamente”). Quel punto esclamativo nella storia del rock and roll è stato il momento in cui parecchi di noi contemporanei di Cobain hanno cominciato a capire che il termine “alternative rock” è una ridondanza – che il vero rock era tornato ad essere l’alternativa a tutto il resto e che lo spirito del rock aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere destinato, con poche eccezioni, a prosperare sulle frange, vivo grazie al nutrimento che trova nel sudore dei club, sotto il neon dei bar, e di sentirsi stabile solo con i piedi fermamente piantati su pavimenti di cemento nudo bagnato dalla birra.
Verdena è una band di rock... alternativo solo a quello che non lo è. Lasciamo perdere ulteriori sottocategorie e tassonomie. Jò aveva ragione e i Verdena hanno guadagnato almeno un fan quella sera. Il rock non si è bruciato, né è scomparso... a proposito dei Verdena, citerei un’altra canzone che precede quella di Neil Young di più di due decenni: “Hail!, Hail! Rock ’n’ Roll!; Deliver me from the days of old!” (Chuck Berry – School Days).

Jo' Campana

“Conosco i Verdena dal 2009 e da allora ho seguito ogni tour che hanno fatto. Credo che siamo entrati immediatamente in sintonia – una cosa molto importante per me in generale. Di Verdena, posso dire che è un gruppo al quale io sono particolarmente affezionato perché, in qualche modo, mi danno modo di esprimere quello che con altri artisti con cui collaboro magari non esprimo; non è che questo rappresenta un limite di  questi artisti però, visto il genere musicale e visto anche la tipologia di persone che sono loro, per me lavorare con i Verdena è ‘terapeutico’, mi fanno bene, mi fanno respirare. Alla veneranda età di 52 anni, ho bisogno anche di situazioni di questo tipo per rinfrescarmi e per rinnovare anche l’entusiasmo e la passione che sono fondamentali per continuare a fare questo lavoro.
“La musica di questo gruppo richiede un ascolto molto attento per poter fare una programmazione – non è che ogni canzone ha il solito strofa-strofa-ritornello-strofa – ma è anche un gruppo che non ha delle grandi richieste illuminotecniche. Infatti, con le situazioni e le possibilità di illuminazione frontale che si trovano nei club, questo rende la situazione più fattibile. Posso poi concentrarmi sul gioco del buio e delle ombre, dei tagli, il controluce ecc.
“In queste situazioni, fondamentalmente la disponibilità di materiale illuminotecnico è piuttosto limitata, quindi, si arrangia con quello che si trova. Quest’anno, per la prima volta è stato fatto un piccolo passo, portando in tour un videoproiettore e una serie di illuminatori appoggiati sul palco che rappresentano un po’ l’ossatura del concerto, al di là del parco luci che si trova da volta in volta sul posto e che va ad integrare. La dotazione luci in tour è proprio minimale: sei spot, sei motorizzati a LED piccoli di lato, tutta roba a terra, e quattro Atomic – giusto ciò che è sufficiente per avere una traccia per la programmazione e per formare una base costante dello show alla quale si va ad aggiungere il materiale che si trova sul posto.
“Le proiezioni non dovevano essere proprio un grande ‘bingo’, ma semplicemente un elemento visivo in più su qualche brano. Abbiamo scelto il fondale non-bianco perché  sarebbe stato poco convincente per il resto dell’impatto visivo averne uno bianco... perciò, le proiezioni non vengono evidenziate moltissimo”.

 

Verdena

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